Il nostro prossimo è tutto ciò che vive (Gandhi)

mercoledì 12 giugno 2013

Il volo di Calipso




Antonella Tomaselli (in anteprima: un estratto dal libro che sto scrivendo)



“Più in alto del sole ed ancora più su. Nel blu dipinto di blu …“
Ero al lavoro già da un paio d’ore, nel mio ambulatorio, quando qualcuno bussò alla porta e si affacciò: “Buongiorno dottore, scusi l’intrusione, ma ho una fretta del diavolo e non posso più aspettare il mio turno. Volevo solo dirle che è nato! Questa notte. E' nato il puledrino. L'aspettiamo per l’iniezione, come d’accordo. Può venire, vero?”.
Era Lisa, la moglie di Sergio, un mio cliente. Lisa aveva sempre il sorriso sulle labbra, e adesso, col sorriso fermo come in uno scatto di fotografia, attendeva la mia risposta. Le dissi che sarei passato da loro appena possibile, giusto il tempo di "smaltire" i clienti in anticamera. Il sorriso di Lisa si fece più vivace e luminoso mentre mi salutava, poi la donna sparì velocemente dietro la porta.
Lisa e Sergio avevano una bella cavallina di razza Avelignese - Haflinger, con il mantello del colore dell’oro rosso. La criniera, la coda e il ciuffo spiccavano chiarissimi, quasi bianchi, con crini lunghi, abbondanti, sottili e lisci. Era bella  anche la testa, impreziosita da due occhioni vivi e espressivi. E la corporatura? Forte, armoniosa. D’accordo, ho una grossa passione per i cavalli, ma Calipso, così si chiamava, era davvero una cavalla notevole. Anche il carattere mi piaceva: docile, mansueta, equilibrata. Tratti tipici della sua razza.
E così finalmente Calipso aveva scodellato il suo puledrino. Ero curioso di vederlo. Il papà era uno stallone titolato.
Dovevo sbrigarmi: quando una cavalla partorisce, si deve fare subito una antitetanica al suo piccolo.
Infatti, appena ebbi finito con l’ultimo cliente, mi precipitai da Lisa.
Mi accolse insieme al marito. Con malcelato orgoglio mi mostrarono il puledrino.
Calipso era abituata a muoversi liberamente in tutto il territorio dell’azienda dei suoi padroni e adesso era in una zona coltivata a prato, col figlio che le girellava intorno, ancora un po’ incerto sulle zampe, ma già ben coordinato.
Le somigliava, era giusto un po’ più chiaro, e, naturalmente, con i crini più corti. Aveva sulla testa, al centro della fronte, una bella macchia bianca dai contorni irregolari, quasi una stella. Lisa disse: “Se fosse una femminuccia la chiamerei Stellina, ma è un maschio…”
Mentre lei pensava ad un possibile nome io e Sergio ci avvicinammo a Calipso e al puledro.
E lì cominciò una sfilza di buffe e vane corse. La cavalla, solitamente cosi docile, quel giorno non si lasciava avvicinare. E il figlioletto, che una manciata di minuti prima mi era sembrato ancora un pochino instabile, ora le stava al passo, sempre vicino alla sua pancia.
Calipso ci imbrogliava ben bene per non lasciarsi catturare: prendeva una direzione e scartava quasi subito in quella opposta, mentre quello scricciolo di puledro si muoveva in sincronia con lei.
Dopo vari e infruttuosi tentativi, Sergio pensò di chiedere aiuto a qualche operaio che lavorava alle sue dipendenze.
Arrivarono i rinforzi, ma il risultato non cambiò. L’unica differenza? Ormai eravamo in tanti a esibirci in rincorse inconcludenti.
Insomma non riuscivamo a prendere quel puledrino. Non mi piaceva la situazione, anche perché Calipso cominciava ad innervosirsi.
Infatti successe ciò che temevo: nell’ennesima fuga lei e il figlio caddero in una grande buca.
Devo fermare un attimo il mio racconto per chiarire la faccenda della buca. Sergio era il titolare di un allevamento di anguille. A quei tempi, e nella mia zona, era un po’ un pioniere. Aveva predisposto, nell’ampio spazio dell’azienda, molte vasche rettangolari, come dei piccoli laghi scavati nella terra e rivestiti da teloni impermeabili. Le vasche erano profonde circa due metri, larghe venti e lunghe quaranta. Sergio acquistava le anguille pescate quando erano ancora piccolissime, allo stadio di “ceche”, e poi le immetteva nelle vasche. Dopo la “semina”(così si chiama questo inserimento), le anguille restavano in quelle vasche per due anni. Alla fine di quel periodo venivano tolte da lì e vendute. Quindi le vasche venivano svuotate dall’acqua e lasciate così per qualche giorno, per essere poi pulite e disinfettate.
La bella Calipso e il suo puledrino erano appunto caduti in una di queste vasche vuote. Raggiungemmo di corsa il bordo della buca: per fortuna i due cavalli sembravano star bene. Del resto la madre era una cavalla forte e robusta e il piccolo, si sa, come tutti i cuccioli, aveva le ossa di gomma.
Un momento, il tempo di un respiro, e la cavalla, con un salto spettacolare, era già balzata fuori dalla vasca.
"E' fatta", pensai. Il piccolo era nella buca da solo e sarebbe stato semplice prenderlo e praticargli la famosa iniezione.
Pronti per scendere, Calipso ci sorprese ancora: con un altro balzo raggiunse di nuovo il figlio.
Ma quello che successe pochi istanti dopo ci lasciò veramente esterrefatti.
Stavamo osservando la scena pensando al da farsi, quando la cavalla afferrò il suo puledrino incastrandolo tra la propria gola e il petto.
Tenendolo in questo modo, dopo una brevissima rincorsa, con sicurezza e straordinario vigore spiccò un salto maestoso. Per un istante sembrò sospesa nel cielo, la testa bassa, le zampe anteriori flesse sotto il corpo, le posteriori tese all’infinito, la coda nel vento, il puledro come incollato.
Atterrò in alto, fuori dalla vasca, sollevando con gli zoccoli piccole zolle di terra.
Appoggiò delicatamente nell’erba il figlioletto e si girò verso di noi per controllare la situazione.
Be’, a quel punto Calipso vide un manipolo di uomini, immobili, con un’aria di enorme meraviglia stampata in viso. E una donnina, Lisa, poco più lontano che, sorridendo, piangeva per l’emozione.
Avevamo assistito ad uno spettacolo di una bellezza prodigiosa.
Calipso, col suo cucciolo, stretto al suo petto, aveva volato.
Senza ali, aveva volato.
Nessuno dei presenti avrebbe mai potuto dimenticare quell’immagine di grande forza, di intelligenza, di coraggio, e soprattutto di amore materno. Qualcuno potrebbe contestare la definizione “amore materno”, preferendo  "istinto materno". Io, che ho toccato con mano l’intensità di quel momento, scelgo assolutamente la parola “amore”.
Per premiare gli sforzi della bella Calipso avrei dovuto lasciarla in pace col suo puledrino. Ma non avrei fatto il bene del piccolo. Dunque ricorsi a altre strategie. Mi feci portare una corda, feci un cappio a una estremità e trattenendo l’estremità opposta, cercai di catturare la cavalla. Come un cowboy o un gaucho,  col proprio lazo. Non fu facilissimo. Però fu divertente. Dopo vari tentativi e qualche capitombolo, finalmente la catturai. Fermata lei, fu immediato e agevole afferrare il puledrino e fargli l’iniezione.
A operazione conclusa cercai di tranquillizzare Calipso. Volevo che dimenticasse l'ansia della giornata. Sembrò capire, si lasciò avvicinare e accarezzare.
Si era ormai fatto tardi, e la lasciai nel campetto dove l’avevo vista al mio arrivo, col suo puledrino accanto. La lasciai con la coda ondeggiante e la criniera appena arricciata da una brezza leggera. Laggiù, nella luce del sole che tramontava.
Mentre me ne andavo avevo ancora negli occhi la scena incantevole e grandiosa che ci aveva regalato e mi ritrovai, fra me e me, a ripetere le parole di Robert Cunninghame Graham: “Dio, non permettere che io vada in un paradiso dove non ci sono cavalli!”

7 commenti:

Giovanna Seriola ha detto...

Bellissimo racconto. Mi piacciono i cavalli e Calipso mi ha commosso. Quando volava con il suo puledrino mi sembrava di vederla...

MARIA ANTONIETTA ha detto...

BELLISSIMO ANTONELLA,IO AMO I CAVALLI,ESSENDO SAGGITTARIA,HO SEMPRE AVUTO SIMPATIA X LA LORO MAESTOSITA' ED IL PORTAMENTO,CHE BELLO IL VOLO DI CALIPSO CON IL PULEDRINO......

Unknown ha detto...

Sì. L'Amore puro fa volare anche senza ali.... E quanto avremmo da re-imparare dagli animali: tutte le cose belle che avevamo in noi ed abbiamo distrutto con l'evoluzione e con il progresso!!! Ma forse, se cominciamo a scavare bene.. chissà che qualcosa non riusciamo a recuperare! Bellissimo racconto, Antonella.. Ho avuto un cavallo per molti anni ed amo tantissimo questi meravigliosi animali!!!

Alessandra Nozza ha detto...

E come diceva Goethe: "C'è qualcosa nel corpo del cavallo che fa bene all'anima dell'uomo". Racconto di indubbio fascino, appassionante, che ha anche qualcosa da insegnarci.

Anonimo ha detto...

BELLO MI è PIACIUTO,MA DA ANTONELLA NON Cè DA MERAVIGLIARSI è MOLTO BRAVA




Camillo Vittici ha detto...

Il racconto è una pennellata bucolica che si legge in un fiato. Si scorre e… si vede. Ci si immerge nella scena, ci si ricopre d'ansia e poi di commozione nel constatare come anche gli animali siano colti da passioni, da "istinti" che sfiorano la razionalità e l'amore. Lo scritto è scorrevole, descrittivo in ogni particolare, la scena è viva, l'azione diretta. Complimenti Antonella!

Ferra ha detto...

ciao Antonella
Letto e devo dire che mi ha emozionato perchè "ho visto" la scena. Sei bravissima ed è evidente il tuo grande amore per i cavalli