Il nostro prossimo è tutto ciò che vive (Gandhi)

mercoledì 12 giugno 2013

Lettera incompiuta al mio bulldog




Susanna Barbaglia (da "Anime Compagne" ilmiolibro.it)


21 dicembre 2009, mattina
È il giorno del solstizio di inverno. Il sole è freddo, ma accecante anche se non sono ancora le nove del mattino. Nel parco siamo sole, io e te. Salti dal bagagliaio della macchina con la foga di sempre, acchiappi il giocattolo (la tua “bambolina”) dalle mie mani (al volo non lo vedresti più) e corri -come sempre- nel prato grande finché ti posso solo intuire di lontano girarti verso di me in una macchia bianca e albicocca nell’erba verde, bagnata di brina. E subito, in quel preciso momento in cui so che i tuoi occhi mi cercano pur non vedendo quasi più, io -come sempre- sento un flash di gioia violentare il mio cuore che inizia a battere sempre più forte in un misto di felicità, pienezza, amore, senso di appartenenza, comprensione, commozione, magia, empatia.
Corro verso di te, improvvisamente ansiosa, perché ho paura che ti allontani troppo e che poi non riesca a capire dove sono.  E quando ti raggiungo senti la mia voce, ma guardi qua e là, dietro le mie spalle: sai che ci sono, ma non mi vedi. Nel tuo sguardo opaco non c’è paura né  alcuna ombra di rabbia o tristezza per la tua cecità. La cosa più importante per te è sentire che io sono lì, da qualche parte, e il tuo muso girato nel vuoto a inseguire il mio odore mi sfida come a dire: «Ti avrei trovata comunque, anche se non ti vedo».
Ti scrivo adesso Lulù, non quando non ci sarai più.
Né io né te amiamo gli epitaffi, le apologie degli amori unici e perduti.
Io poi lo sai, ho sempre cercato di non fartelo capire, ma ti ho sempre pianto in vita, dal primo momento che ti ho preso in braccio.
Eri uno dei rari  sogni realizzati e ho pensato fin dall’inizio che ti avrei perduta.
Ma perché?
Forse per quel respiro faticoso, così anomalo in un qualunque cucciolo di un mese di vita, ma non in un bulldog che nasce consapevole dell’impegno a gestire un corpo massiccio, quasi deforme, con un muso schiacciato, un torace possente, le zampe tozze. Un corpo da un lato invincibile e dall’altro fragilissimo.
Forse perché non hai mai guaito, né per la paura né per il dolore.
Forse perché ho avvertito da subito che qualcosa di ancestrale mi univa a te, addirittura che qualcosa di me fosse dentro di te, e viceversa.
Forse perché nel primo incontro fra noi i tuoi occhi da latte hanno agganciato i miei con un lampo di gioia e di consapevolezza, come se mi stessi aspettando.
Adesso però non mi piacerebbe che tu inarcassi il sopracciglio scuro, quello da dura: non temere. Questa non è una lettera triste. Anzi.
Vuole essere un ringraziamento, una sintesi, un regalo, come siamo noi una per l’altra.
Una lettera anche ironica. Diciamolo senza falsa modestia: è un pregio il sense of humour che possiamo dire di condividere, no?
Mi hai insegnato tu a non essere patetica, a riderci su, insomma.
E mi hai insegnato la dignità. Che non è poco.
Io, invece, non ti ho insegnato quasi nulla. La più forte, la protettrice, la dominante sei sempre stata tu.
Un giorno di quasi 10 anni fa, pomeriggio
Era appesa sulla bacheca del piano, davanti alle macchinette del caffè. Impossibile non vederla. La fotografia di otto cuccioli di bulldog inglesi di venti giorni. Sette femmine e un maschio. Ti confesso che  ho visto subito te: i tuoi fratelli erano un buffo accessorio a quel tuo muso diviso perfettamente a metà. Un occhio con le ciglia albine immerso nel bianco (quello languido) e un occhio truccato di nero (quello duro), su fondo albicocca.
L’irrazionalità è uno dei miei più grandi problemi. In certe situazioni di forte emotività io non tengo. Non so ragionare, né mi interessa. Una voce dentro grida che devo fare, devo sentire, devo lasciarmi andare, devo seguire quello sguardo, quel profumo, quel battito di ali, quel dolore, quell’oblio, quella pazzia…
Quell’occhio bianco e quello nero mi chiamavano. Eri tu, finalmente. Ti avevo trovato, finalmente.
Ma che cosa, poi, avevo trovato?
L’avrei capito più tardi e, anche se tu lo sai e lo sapevi già,  te lo voglio spiegare con parole mie in questa lettera.
Tornando a quel momento, attonita davanti a quella bacheca, non mi ponevo nemmeno la domanda. C’era solo una risposta: dovevo averti, dovevi stare con me. Stop.
Poco importava se a casa c’erano due vecchie gatte e un piccolo yorkie malato.
Poco importava se allora ero vicedirettore di un settimanale di moda che mi impegnava 20 ore su 24.
Poco importava se avevo un marito che, pur amando gli animali, mi aveva espressamente detto che non ne avrebbe mai voluti per amore della sua libertà.
Niente mi avrebbe fermato. Non avrei potuto fare a meno di te. Non avrei mai potuto né voluto rinunciare a te.
Solo un mese dopo ti tenevo stretta fra le braccia.
Una palla di pelo, profumata di miele. La mia faccia affondata nelle tue pieghe.
I miei occhi dentro i tuoi. Il tuo muso rotondo abbandonato sulla mia spalla.
Il tuo cuore appoggiato sul mio.
“Cuore-cuore”, ti ricordi? Lo facciamo ancora. Io ti abbraccio. Tu appoggi il faccione sulla mia spalla e il torace contro il mio. E i nostri cuori battono insieme. Tu tieni gli occhi chiusi e ronfi e grufoli e fai le fusa, come un gatto.
Ci stacchiamo solo quando tu non ce la fai più, quando non riesci più a respirare e cominci a starnutire. Impagabile! Io torno bambina e tu cucciolo.
Ma quel giorno, poco più di nove anni fa, quando ti ho portato a casa, avevi due mesi esatti. Tua madre mi conosceva (ero già venuta due o tre volte a trovarti), ma lo stesso ci ha seguite fino alla macchina senza staccarti gli occhi di dosso. Tu tremavi un po’. Vi siete salutate con uno sguardo profondo e doloroso, ma tu, lo capivo, non avevi dubbi. Di certo provavi paura: trapelava da quel lievissimo tremito che ha attraversato ogni plica della tua pelle per tutto il viaggio.
Tua madre… Si chiamava Emma. Era diversa da te, più minuta, ma ti somigliava moltissimo nel carattere.
Tu ed Emma siete state figlia e madre sempre. Ogni volta che la rivedevi, già adulta e così più massiccia di lei, le assestavi una musata nella pancia, la rigiravi e ti riattaccavi alle sue mammelle.
Tu hai sempre  “sentito” l’anima di chi ami. Così, hai sentito l’attimo esatto della morte di Emma. Lei ad Aosta, tu a Milano. Stavi dormendo profondamente e ti sei svegliata, di colpo, iniziando ad ansimare come un mantice. Allo stesso modo, hai sentito morire Ettore, il tuo “fidanzato” e Dylan il tuo grande amico e Milly tua sorella… Ma prima di chiunque altro, tu “senti” me.
Ora te lo voglio dire: sei l’aggancio con la parte più autentica di me, l’unico essere con il quale sono sempre stata spontanea, un bellissimo regalo della vita, una grande consolazione, un silenzioso spirito guida che mi salva nei momenti di smarrimento con uno sguardo che dice: « Ricordati chi sei, ricordati chi siamo».
19 gennaio 2010, notte
Annichilita, ti guardo. È successo, infine. C’è un silenzio orribile. Non sento più il tuo respiro. In un attimo. In una frazione di secondo. Ti sei accasciata di fianco al letto. Dalla mia parte. Il cuore grande dei bulldog scoppia all’improvviso. Così.
Ti guardo attraverso le lacrime e nemmeno mi accorgo di piangere. E, chissà perché, penso alla mia lettera per te. La mia lettera incompiuta. Non ho fatto in tempo a finirla…
Da qualche giorno eri pensosa, un po’ triste. Scusa se questa volta non ti ho capito. O meglio, non ti ho voluto capire. Avrei dovuto. Anche ieri sera, quando ti sei appoggiata a me per il nostro rito del “cuore-cuore”.
Sì, ieri sera avrei dovuto capire. Il tuo respiro era un po’ affannoso e i tuoi occhi che non vedevano più erano aperti, persi nel vuoto e pieni di malinconia.
Gli inglesi dicono che  nel vostro grande torace voi bulldog custodite le anime dei cani che abbiamo amato e che ci hanno amato. E che, quando ci lasciate, le trasferite al prossimo cane che incontreremo. Ecco perché, ora che sembri solo addormentata, mentre ti accarezzo sul cuore per l’ultima volta, mi avvicino, ti abbraccio e ti sussurro: «Lulù, ti cercherò sempre. Ti aspetto».

3 commenti:

MARIA ANTONIETTA ha detto...

SUSANNA E' BELLISSIMO ,HO VISTO E SENTITO QUELLO CHE TU HAI SCRITTO ,COME SE FOSSI STATA PRESENTE.....UN GIORNO SCRIVERO' QUALCOSA SUL GATTO PERSIANO LA PRINCIPESSA CHICCA....CHE SI ADDORMENTO' TRA LE MIE BRACCIA X SEMPRE....GRAZIE







rosa russo ha detto...

Se questa storia me l'avessero raccontata, senza pronunciare la parola cane, avrei pensato che si stesse parlando di una bambina. Una "bimba" scelta dal cuore. Bellissima storia d'amore tra due....cuori.

Stefania e Bart ha detto...

ho letto tutto di un fiato, ho provato una grande emozione, mi sono rivista come in un flash back a quel giugno di due anni fa, quando per l'ultima volta i miei occhi si sono incrociati con quelli di Bart il mio bullo di 10 anni e mezzo e le lacrime hanno cominciato a scendere...... il vero amore esiste e non importa se pieno di pelo e rughe. Cuore contro cuore, per sempre