Il nostro prossimo è tutto ciò che vive (Gandhi)

mercoledì 3 luglio 2013

Il vecchio e il cane



Racconto di Elisabetta Puppo


La casa del vecchio si trovava proprio in riva al mare, una minuscola baracca costruita sulla piccola spiaggia antistante al faro ormai in disuso.
Il vecchio l’aveva costruita con le sue mani e adattata alle proprie esigenze: una cucina, una stanza e uno sgabuzzino dove potersi lavare e svolgere altre funzioni di prima necessità.
Accanto alla casa la barca in legno, bianca e rossa, era legata con una cima all’unico scoglio che si ergeva dalla fine sabbia.
Sembrava che qualcuno ce lo avesse piantato, magari durante una notte buia, per far un piacere al vecchio.
Lui però non voleva alcun favore, viveva solo da sempre, non amava il genere umano, parlava poco e stava bene con se stesso e il suo cane.
Cane, questo era proprio il suo nome, era l’unico amico fidato e il vecchio lo amava come un figlio.
“Tu sì che mi comprendi” soleva dirgli. “Mi dai sempre ragione, anche quando ho torto; mi offri amore senza chiedere nulla in cambio; fai la guardia come si deve e mi scaldi nelle sere fredde come una morbida coperta”.
Il vecchio aveva trovato Cane sotto alla sua barca o, forse, era Cane che aveva trovato il vecchio molti anni prima.
L’amore per il mare e per la solitudine li aveva uniti.
Quando il vecchio faceva un fischio, Cane saltava sulla barca e, insieme, trascorrevano ore a pescare sotto il cielo ancora stellato del primo mattino.
Erano invecchiati insieme: la barba grigia del vecchio era simile al pelo ormai canuto del muso di Cane. L’andatura lenta di Cane si adeguava perfettamente con il passo del padrone, un po’ claudicante e incurvato.
Gli stessi occhi scuri, intelligenti, svegli, talora malinconici, si incrociavano più e più volte durante le lunghe giornate.
Un mattino il vecchio si alzò e chiamò: “Cane!”
Non ricevette risposta.
Cane non venne a fargli le feste, a scodinzolare e guaire in attesa del bocconcino prelibato.
“Cane!” urlò ancora il vecchio. “Cane!”. Nulla.
Per tutto il giorno lo cercò, recandosi nel centro abitato vicino, cosa per lui rarissima. Domandò a tutti se avessero visto Cane, ma i passanti, osservandolo con sospetto, gli rispondevano di non averlo veduto.
La sera giunse e il vecchio venne assalito dallo sconforto, per la prima volta sentì un gran vuoto nella sua vita.
“Cane!” urlò ancora e ancora.
Nel silenzio della notte la sua voce si confondeva col frangersi delle onde contro l’arenile.
Sedette sullo scoglio, affranto, la testa fra le mani, pianse.
Pianse come un bambino smarrito, pianse disperato, nella consapevolezza che Cane non sarebbe più tornato.
I primi raggi del mattino lo svegliarono, accecando i suoi occhi ancora umidi per le lacrime versate; si guardò attorno e sentendo un mugolio trasalì: Cane era lì! “Vecchio filibustiere di un cane!” esclamò, “dove ti eri cacciato? Ma lo sai che ti ho cercato tutto il giorno? Pensavo te ne fossi andato”.
Cane era felice di vedere il vecchio padrone e non la finiva più di leccarlo e di saltargli addosso, abbaiava gioioso e correva attorno all’uomo che, con modi affettuosi, lo rimproverava ancora.
Si misero a correre sulla spiaggia entrambi, e corsero come non avevano mai fatto prima.
“Per Giove, vecchio mio, non mi sono mai sentito così arzillo!” esclamò il vecchio.
Prese il muso di Cane fra le sue mani grandi e callose da pescatore e lo guardò nei profondi occhi scuri, poi si guardò attorno estasiato: tutto era cambiato… Fu allora che capì ogni cosa. Quello era il loro Paradiso!


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