Il nostro prossimo è tutto ciò che vive (Gandhi)

lunedì 9 settembre 2013

Gattodipendenza




Uno scritto di Giorgio Manganelli, da “IO, GATTO”, a cura di Pinuccia Ferrari (Ed. Frassinelli, 1984)

Gattodipendenza

Giorgio Manganelli

Mi pare del tutto evidente che i gatti, intesi come felini da studiare in laboratori di naturalisti, non esistono.
I gatti non sono gatti. Sono miniaturizzate figure mitologiche che entrano nelle nostre case, percorrono le strade, qui a Roma alloggiano in mezzo alle rovine, affollano i vicoli della città vecchia. Già questo amore dei luoghi intimi o antichi, cioè dei luoghi sottilmente umani, non può non insospettire; i gatti amano insieme la mollezza e la selvatica grazia dei luoghi affranti dal tempo; praticano i vizi colti della gola e del sonno, ma insieme sono eremitici, forastici, diffidenti, taciturni.
L’uso che l’uomo fa del gatto è del tutto fantastico, e insieme devoto.
Chi ha gatti cade in una forma di gattodipendenza che non conosce disintossicazione. L’uomo avverte la qualità mitica del gatto, e a questa oscuramente si rivolge, e ubbidisce alla qualità nobile, araldica di quell’essere dai grandi occhi e senza sorriso.
Ma il rapporto è misteriosamente binario: il gatto a sua volta sviluppa un atteggiamento che mescola assurdamente uno stile di possesso e riti di sudditanza; ma una fondamentale distanza, una sorta di mimetica trascendenza, fa sì che la signoria sia meramente recitata, accade per disposizione dell’essere umano, non è imposta; e la sudditanza è un gioco infantile e forse un gesto di mera cortesia.
Da qualche parte Konrad Lorenz ha scritto a proposito degli animali domestici – temo che questo empio linguaggio alluda anche ai gatti – che costoro credono di essere umani; poiché è chiaro che l’uomo aspira a farsi gatto, si ha uno scambio di ruoli; e non è impossibile che gatti e uomini costituiscano ciascuno la mitologia dell’altro.

1 commento:

rosa russo ha detto...

L'ho letto,una descrizione incomparabile.