La mamma di Betty di Valentina Ferri (Storia vera di Ilaria F.., da “Confidenze tra amiche”, numero 37, 2013)
Era straziante, quel lamento. Un grido incessante, simile al pianto di un bambino. Chi poteva gemere in quel modo? Quando un gruppo di volontari della Croce Bianca di Albenga, a passeggio per i boschi liguri in una domenica di fine maggio, aveva raggiunto la fonte di quel gemito disperato, si era trovato davanti un cucciolo di capriolo. Era piccolissimo, ferito, appeso per la zampetta sinistra a una recinzione di filo spinato. Non poteva avere che pochi giorni. L’animaletto sanguinava, aveva bisogno di cure immediate.
Poche ore dopo, a casa mia, era squillato il telefono: «Ilaria, c’è bisogno di te». Era un amico della Vigilanza Sanatoria, addetto al Servizio Fauna Selvatica. I ragazzi che avevano soccorso il capriolo, vittima di una consuetudine crudele e forse utilizzato come esca, lo avevano immediatamente contattato e in clinica si erano attivati per salvare il cucciolo. Purtroppo, la zampetta del capriolo non poteva essere recuperata. Il piccolo Bambi soffriva disperatamente e il rischio era quello di un’infezione che si sarebbe propagata in breve tempo. Unica soluzione, amputarla subito. Anche un’altra zampa aveva subìto la lacerazione del muscolo e forse non sarebbe più guarita. Ma io cosa avrei potuto fare?
«Solo tu puoi occuparti di questo cucciolo e tenerlo con te» mi era stato risposto al telefono.
Il capriolo era stato operato e nei giorni successivi avrebbe avuto bisogno di riposo e di cure costanti. Mi erano già stati affidati altri animali, perfino due tartarughe molto anziane. Ero conosciuta per la mia attitudine a occuparmi di bestiole di ogni specie e per avere fatto, con il mio compagno Federico, della mia casa e del terreno intorno una sorta di festosa arca di Noè.
«Portatelo qui. Vi aspetto» avevo detto con trepidazione.
La macchina della Forestale era arrivata da me verso sera. La piccola (sì, era una femmina) era stata battezzata Betty ed era sotto anestesia. Avvolta in una coperta, sembrava dormire tranquilla.
Con Federico l’avevamo adagiata sul divano, preparandoci a vegliarla a turno. Quella notte sarebbe stata lunghissima, perché Betty non era ancora fuori pericolo. La capriolina pareva riposare serena e io, stesa accanto a lei, la guardavo, spiando il suo sonno. A un tratto, aveva smesso di respirare. Avevamo capito subito che si trattava di un improvviso arresto del cuore. Non c’era tempo da perdere. Facendo appello a tutto il mio sangue freddo, le avevo praticato un massaggio cardiaco: con le dita, avevo esercitato lievi pressioni sul torace, su quel cuoricino minuscolo che poco dopo aveva ripreso a battere. La battaglia di Betty, però, non era ancora vinta: faticava a respirare, annaspava, aveva bisogno d’aria.
«Dai, Ilaria, prova ancora» mi aveva esortato Federico. In un ultimo, disperato sforzo, l’avevo rianimata con la respirazione artificiale, inalandole il mio respiro, il mio fiato, la vita. Pian piano, la bestiola aveva ripreso a respirare, da principio con affanno, poi sempre più regolarmente. Io e Federico ci eravamo abbracciati. Era salva.
«Da oggi sei qui, con noi. Sei al sicuro» le avevo sussurrato tra le lacrime, mentre l’alba inondava di luce arancione la stanza.
La mattina dopo, Betty era ancora molto debole. Il veterinario che l’aveva visitata non era ottimista: «Temo che non ce la farà. Non pesa che otto etti, è rimasta senza cibo per diversi giorni. È denutrita, disidratata» aveva sottolineato. Ma Betty non poteva essere giunta fin da noi per poi andarsene di nuovo. La nostra caparbietà era nota e il veterinario lo sapeva. La convivenza con sei cani, quattro gatti e due tartarughe andava a gonfie vele. In più, avevamo curato rapaci e civette senza un’ala o che avevano perso la vista e altri animali che erano in pericolo, ammalati, salvati dai canili o dalle percosse. Non potevamo arrenderci con Betty.
«Faccia di tutto per salvarla, dottore» gli avevamo detto.
Dopo una flebo reidratante, Betty aveva cominciato a stare meglio. Qualche ora più tardi, come un fiore che, innaffiato, si erge delicatamente sul suo stelo, anche lei aveva alzato il musetto, aperto i grandi occhi. Si era guardata intorno, schiudendosi alla vita. E qui è cominciata la sua avventura gioiosa, la sua fiaba. Betty mi ha scelta come mamma. Sapete la storia delle oche, che individuano come madre la prima figura che vedono appena escono dall’uovo? Bene, lo stesso accade ai caprioli ed è successo con la nostra cucciola. Io le davo il biberon con il latte di capra e lei lo succhiava avidamente. Poi, si strusciava contro il mio mento, come a cercare di lappare ancora. Ovunque andassi, mi seguiva e, quando mi allontanavo, il suo pianto, quel lamento così simile a quello di un bambino che chiama la mamma, mi chiedeva di correre subito da lei. Ma la cosa più toccante è stata l’accoglienza dei nostri cani. Uno di loro, il più vecchio, è una dolce cagnolona di nome Aisha che abbiamo preso da un canile dove era in attesa di essere soppressa. Come molti cani lupo soffriva di una displasia all’anca e aveva tre zampe sofferenti. Noi l’avevamo salvata, testardi, l’avevamo fatta operare e da sei anni viveva felicemente con noi. Ecco, Aisha ha “dato il la” e gli altri cani hanno intonato il loro benvenuto a Betty. Come? L’hanno protetta come uno scudo, ponendosi intorno a lei. Le leccavano il muso come fa una brava madre e si acciambellavano intorno a lei che, così, poteva dormire tra le loro pance. Aisha, con saggezza, vigilava.
Oggi Betty ha tre mesi, pesa tredici chili e si comporta come un cagnolino. Segue i cani che la accompagnano nel prato di casa per insegnarle a brucare l’erba o per indicarle le foglie di albicocco, di cui è ghiotta; mangia con loro (lei dalla sua ciotola con grano, avena, orzo, frutta e verdura) e fa i suoi bisogni all’aperto, come ogni animale domestico beneducato. Verso sera, si adagia sul divano accanto a noi mentre guardiamo la televisione e poi va a nanna nel suo box (proprio quello dei bambini), vicino al nostro letto. Quando c’è un temporale, però, ha paura e vuole stare nel nostro letto, tenendoci con una zampina. Già, Betty ha bisogno di essere protetta, cresciuta e curata. Perché, se ritornasse in un bosco, non sopravviverebbe. E questo lo sa bene anche la Vigilanza che si occupa della fauna selvatica: dopo averla affidata a noi, verificando ogni settimana la sua salute e il nostro impegno, ora ha deciso di lasciarla definitivamente a vivere qui. Betty è un capriolo gioioso, capace anche di fare i dispetti quando i gatti le saltellano intorno, sfilando sotto la sua pancia come se fosse un gioco. «Piccola pestifera» le dico mentre lei si diverte a leccarli vigorosamente. Loro, però, non protestano.
Questo cucciolo, che una mano crudele aveva cercato di uccidere nel modo più straziante, è il beniamino di tutti.
Ad Albenga, dove viviamo, Betty è stata nominata mascotte ufficiale delle feste. Lei, zoppicando sulle tre zampette, fa capire a tutti quanto sia riconoscente e riceve il suo premio specialissimo, una coppa di frutti di bosco.
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