Il nostro prossimo è tutto ciò che vive (Gandhi)

venerdì 27 settembre 2013

Smoky, uno yorkshire terrier soldato ed eroe



Smoky, uno yorkshire terrier soldato ed eroe, di Antonella Tomaselli (da “Anime Compagne”, ilmiolibro.it)

Potrei raccontare mille bellissime storie di cani, dei miei o di quelli dei miei amici. Voglio invece raccontare la storia di Smoky, una cagnolina che non ho conosciuto personalmente, ma ciò che è accaduto nella sua vita è così fuori dagli schemi da risultare piuttosto interessante. Nella sua essenza però  è una storia del grande amore fra un uomo e il suo cane (ma va bene anche scritto così: del grande amore fra un cane e il suo uomo!).
La vicenda si svolse nel sud dell’Oceano Pacifico, molti anni fa, durante la seconda Guerra Mondiale.
Un militare della Quinta Unità della Forza Aerea Americana, stanziata nella Nuova Guinea, stava facendo ritorno alla base, quando il motore della jeep che guidava cominciò a fare le bizze per poi fermarsi del tutto. Il soldato scese dall’auto, aprì il cofano e cominciò ad armeggiare per individuare il guasto e ripararlo. Era dunque alle prese con questo guaio quando udì distintamente l’abbaiare di un cane. Be’, per essere precisi, il piccolo abbaio di un piccolo cane. Si guardò intorno con stupore. D’un tratto sentì un guaito. Lì non poteva esserci un cagnolino. Era praticamente in mezzo alla giungla, foresta di qui e foresta di là. Invece lo vide: era davvero un cane, o meglio un cucciolo, di piccola taglia, che stava cercando di uscire da una tana abbandonata di volpi. Il giovane soldato voleva solo tornare al più presto alla base e nell’elenco dei suoi problemi questo cucciolo era sicuramente all’ultimo posto. Però non poteva abbandonarlo lì. Gli si avvicinò piano piano e lo prese fra le mani. Il piccolo si lasciò fare. Occhi negli occhi, il militare non potè fare altro che dirgli: “Ti porto con me!”. Lo sistemò sui sedili posteriori della fuoristrada e gli ordinò di starsene lì buono. Poi tornò ad occuparsi del motore. Finalmente riuscì a sistemarlo e ripartì. Arrivati alla base il cucciolo attirò molta  curiosità e lui lo vendette, per poco più di sei dollari, ad un commilitone, il soldato semplice William A. Wynne, Bill per gli amici. Bill era un ragazzo di 21 anni e amava moltissimo gli animali. Prese il cucciolo e accarezzandolo dolcemente gli disse: “Adesso bisogna pensare ad un nome per te”. Era una femminuccia, una cucciola di razza yorkshire terrier. Ma come poteva essere finita nella foresta? Questo era davvero un mistero. Ma Bill non se ne preoccupò molto, gli sembrò piuttosto un regalo caduto dal cielo, arrivato al momento giusto, per farlo sentire meno solo. La chiamò Smoky. La piccola gli si affezionò immediatamente e i due divennero inseparabili.
Bill, tra un’azione militare e l’altra, insegnò alla piccola un numero svariato di cose, dalle più semplici alle più strane, e lei  apprendeva e rispondeva in modo sorprendente. Lo faceva per Bill.  Ed era felice. Tra le altre imparò nientemeno che a camminare su una corda e a scendere da sola col paracadute. Inoltre era dolce, tenera e buffa come tutti gli yorkshire terrier, o meglio come tutti i cani del mondo. E ancora: Smoky volò nel cielo, sopra l’Oceano Pacifico, accanto a Bill, in dodici incursioni, alcune di salvataggio e alcune di riprese fotografiche. E non è finita: la cagnolina intratteneva le unità sul campo e i soldati feriti negli ospedali militari, probabilmente la pioniera della Pet Therapy. Eh, gli yorkshire terrier sono piccini, ma hanno un cuore grande!
Bill si prendeva cura di lei minuziosamente, per esempio la lavava ogni giorno con il sapone da bucato (l’unico tipo di sapone che avevano in dotazione i soldati) e usava il proprio casco come vasca da bagno. Divideva con lei la sua razione di cibo giornaliera e la faceva dormire nella tenda, accanto a sé. I due vissero praticamente in simbiosi per tutti i cinque anni in cui Bill prestò servizio nell’aviazione militare e alla fine della guerra Smoky fu promossa a caporale. Meritatamente, perché in tante imprese non fu solo d’aiuto, fu addirittura indispensabile.
Ormai Bill doveva tornare a casa, a Cleveland, nell’Ohio, e non poteva portare la cagnolina con sé. Ma avrebbe mai potuto lasciare la piccola fedele, affezionata e intrepida Smoky? La compagna di mille pericolose avventure? La SUA Smoky?
Il solo pensiero lo angosciava. Smoky non poteva stare senza di lui. E lui non poteva stare senza di lei. No, non l’avrebbe lasciata per niente al mondo.
Escogitò di nasconderla nella scatola della sua maschera antigas e fu con questo stratagemma che affrontarono il viaggio. E riuscirono nell’impresa. All’arrivo a casa Bill presentò Smoky a parenti e amici, raccontandone la storia e le imprese. Le voci si diffusero e ben presto tutti i giornali parlarono della piccola. Divenne l’eroina preferita dei mezzi di comunicazione e addirittura ebbe, naturalmente insieme all’inseparabile Bill, un programma televisivo settimanale dedicato. Solo più tardi Bill fece luce sul mistero del ritrovamento di Smoky, venne infatti a sapere che poco lontano da dove era stata rinvenuta la piccola, sorgeva una bellissima villa, dalla quale lei si era allontanata per poi perdersi nella giungla.
Smoky morì anni fa. E posso immaginare il dolore di Bill.
Lui vive ancora a Cleveland e nel 1996 ha pubblicato un libro dal titolo “Yorkie Doodle Dandy”, dove racconta questa bellissima e singolare storia vera.
Digitando in facebook  -"Smoky" the yorkie doodle dandy -, si apre una fan page dedicata a questa piccola grande cagnolina e l’immagine di copertina è una foto, in bianco e nero, che la ritrae mentre spunta dal casco di Bill.
Un’antica leggenda tramandata dalle tribù degli Indiani d’America, racconta che quando uno dei nostri amati animali muore, va al Ponte dell’Arcobaleno. In questo magnifico posto starà benissimo, l’unico suo cruccio sarà la mancanza della persona speciale che ha dovuto lasciare sulla Terra. Ma un giorno questa persona arriverà e saranno felici e insieme attraverseranno il Ponte dell’Arcobaleno.
Sono sicura che Smoky è là, che aspetta Bill.
E un giorno anch’io spero di ritrovare, sul Ponte dell’Arcobaleno, i miei amati cani che mi hanno lasciato.

1 commento:

rosa russo ha detto...

Amo i cani tanto che ne ho due. E vivo, anzi viviamo, in un appartamento! Li chiamo tesori perché lo sono, con la loro presenza arricchiscono le mie giornate. Bellissima questa storia, solo chi ha animali può capire quanto amore danno. Grazie.