Per lunghi lunghissimi mesi Veronica aveva tentato di prendere Lua, ma quella bella Podenca bianca e rossa sembrava usare le sue grandi orecchie come radar per avvistarla, e riusciva sempre a sfuggire.
La ragazza si arrovellò per cercare una soluzione. Si sentiva male all’idea di sapere che Lua era ancora sola nel campo. Si era innamorata di quella bella cagnolina dagli occhi dolci e non poteva sopportare di saperla in pericolo. Così decise di chiedere aiuto a Miguel. Veronica sapeva di poter contare sul suo grande cuore e sull’amore che quel ragazzo provava per gli animali.
La telefonata fu breve, non servivano molte parole. Come aveva previsto, Miguel accettò con entusiasmo di darle una mano. Questo la fece sentire un pochino più tranquilla, perché conosceva bene le sue doti di catturatore. Aveva fama di riuscire sempre nei suoi salvataggi.
Ora restava solo da sperare che nel frattempo non fosse successo nulla a Lua.
Decisero di fare un primo giro di esplorazione il giorno seguente.
Si presentarono al campo di buonora, sperando di avvistarla il prima possibile.
Quel luogo diede loro la solita stretta al cuore. Il campo era ormai diventato la “discarica” di Siviglia e dintorni. Chiunque non sapesse più che fare del proprio cane andava semplicemente lì e lo scaricava. Cacciatori o semplici irresponsabili usavano quel posto per abbandonare i poveri cani ormai considerati inutili. Ovunque si vedevano randagi magri e affamati. Decine di occhi spaventati e diffidenti li osservavano a distanza di sicurezza.
Veronica si sentì un nodo alla gola. Era deprimente sapere di non poterli aiutare tutti. Chissà quanti di quei cani sarebbero morti di stenti o in maniera anche peggiore. Sapeva bene che i cani affamati attaccavano il bestiame nei dintorni e sapeva altrettanto bene che questo irritava i pastori.
Eppure non c’era davvero modo di poterli portare tutti al sicuro. Era così difficile trovare qualcuno disposto ad accogliere un cane fino all’adozione. Il cuore della ragazza la spingeva in una direzione che il suo cervello non poteva seguire.
La zona da esplorare era molto vasta e invasa da cani di ogni taglia ed età. Videro Frac, un piccolo levriero emaciato dallo sguardo vivace. Appena fecero qualche passo verso di lui, fuggì terrorizzato. «Cerchiamo di prendere anche lui,» disse la ragazza con fermezza, «Lo aspetto da un anno. Non voglio lasciarlo qui.»
Passarono due ore e ancora non avevano avvistato Lua da nessuna parte.
Presa dallo sconforto, Veronica si girò Verso Miguel. Nei suoi occhi c’era rassegnazione e dolore. Ma lui non la stava guardando, i suoi occhi concentrati erano fissi su un punto lontano. Veronica seguì il gesto della mano di lui e finalmente la vide, nascosta tra i cespugli. Si avvicinarono con cautela. Lua arretrò, dando loro modo di osservarla meglio. La rinnovata fiducia della ragazza svanì in un baleno. Le mammelle gonfie di latte della cagnolina dissero loro che era di nuovo diventata mamma. Ora tutto sarebbe diventato ancora più difficile, perché senz’altro i cuccioli erano nascosti in mezzo all’erba.
Esplorarono il campo con grande attenzione, ma era molto vasto e non riuscivano a scorgere i cuccioli. Intorno c’era solo verde e cani affamati dallo sguardo stanco.
I due ragazzi gettarono loro tutti i croccantini che avevano.
All’improvviso gli occhi di Veronica incontrarono qualcosa d’insolito: una grossa massa bianca legata a un palo. Pensò che si trattasse di un cane, forse un mastino spagnolo, lasciato lì per spaventare i randagi. Senza neppure riflettere mosse qualche passo rapido verso la povera creatura. E subito spalancò gli occhi per l’orrore: era una pecora, viva, belante e terrorizzata. D’istinto la ragazza accelerò ancora il passo, cercando di capire cosa stesse capitando.
Miguel l’afferrò per un braccio. Lei lo guardò senza capire. Aveva il volto pallido e gli occhi sbarrati. Le fece segno di no con la testa e le indicò un camper parcheggiato accanto alla pecora. I finestrini erano aperti e Veronica vide con chiarezza il luccichio sinistro del sole sulle canne dei fucili. Si dovette premere una mano sulla bocca, soffocando un grido.
Miguel la trascinò letteralmente via. La ragazza era scossa da un tremito violento e si sentiva le lacrime agli occhi. Rabbia, impotenza, dolore sconfinato si ammassavano nel suo petto fin quasi a farlo scoppiare.
Miguel cercò di consolarla come poteva, benché anche lui si sentisse sopraffatto dall’orrore.
Le chiamate alla polizia non sortirono alcun effetto. Nessuno intendeva muoversi per dei cani o per una pecora, avevano cose ben più importanti da fare. Risposero annoiati, senza nemmeno chiedere indicazioni sul luogo. Non era cosa che li potesse riguardare.
Miguel accompagnò Veronica a casa. Entrambi si sentivano abbattuti e sconfitti. Però prima di scendere dall’automobile la ragazza guardò l’amico dritto negli occhi. Il suo sguardo era di nuovo fiero e determinato. «Chiama tutti quelli che puoi, domani torniamo!» esclamò con voce vibrante, «Dobbiamo prenderla, Miguel, lei e i cuccioli! Non possiamo lasciarli lì, sarebbe orrendo!»
Così tornarono il giorno seguente, al tramonto. Ognuno dei volontari portava in mano una torcia. Il campo era davvero grande, ma stavolta erano in molti. Si sparpagliarono in tutte le direzioni. Veronica cercava di non pensare alla pecora legata e di non guardare in quella direzione. Sapeva bene di non poter fare nulla per lei, e ora doveva concentrarsi al massimo sui cani.
La giornata era stata torrida e il caldo opprimente gravava su di loro come un mantello pesante di cui non riuscivano a liberarsi.
Batterono il campo per ore, senza risultato. Avevano intravisto Lua e Frac, che però si erano subito rintanati nell’erba. Dei cuccioli nessuna traccia.
Solo alle quattro del mattino si sentì un urlo trionfante. Veronica si precipitò nel punto da cui proveniva il grido. I cuccioli erano cinque, quattro maschietti e una femminuccia. Stavano rannicchiati l’uno contro l’altro e puntavano i baffi in direzione degli sconosciuti salvatori, un po’ intimoriti e un po’ curiosi.
La ragazza immaginò che non avessero mai visto un essere umano da vicino, ma erano molto piccoli, avrebbero avuto tempo di abituarsi, così com’era capitato ai fratellini della cucciolata precedente.
Li depositarono delicatamente in un kennel, ma aspettarono prima di portarli all’auto. Speravano che il loro pianto di piccoli prigionieri attirasse la madre, della cui generosità avevano già avuto prova.
Non si sbagliavano: Veronica e Miguel, mossi pochi passi, la videro nascosta nell’erba, intenta a osservare i cuccioli con occhi preoccupati.
Il ragazzo l’agganciò subito con il lungo cappio che veniva usato anche dai catturatori della perrera. Lua non si era nemmeno accorta della loro presenza, intenta com’era a scrutare quegli uomini che avevano imprigionato i suoi cuccioli. Si dimenò quando si sentì stretta al laccio. La immobilizzarono subito per evitare che si facesse male. La cagnolina pianse e ringhiò un po’, cercando di divincolarsi, ma non diede alcun segno di voler mordere le mani che la stringevano.
Si calmò quasi subito quando la misero nel kennel insieme ai suoi cuccioli. La presenza dei piccoli la rassicurava. Non chiedeva altro che stare insieme a loro.
Veronica si sentì il cuore più leggero mentre guardava la famiglia di nuovo insieme, finalmente al sicuro.
«Andiamo a fare un ultimo giro per vedere se riusciamo ad avvistare di nuovo Frac?» propose a Miguel.
Lui annuì.
Vagarono ancora per circa mezzora, ma del piccolo galgo non c’era traccia. Probabilmente la presenza di tutte quelle persone lo aveva spinto a nascondersi in un luogo sicuro. Veronica diede un’occhiata all’orologio: per quella notte doveva arrendersi, ma non avrebbe rinunciato tanto facilmente al suo piccolo levriero.
Gli occhi della ragazza si mossero quasi involontariamente in direzione del luogo dove c’era la pecora. Non sentiva nessun belato. Un silenzio lugubre circondava quella zona del campo. Lei e Miguel si guardarono e, senza bisogno di parole, si avviarono in direzione del camper dove avevano visto i pastori appostati. Non sembrava esserci nessuno, ma non potevano rischiare di avvicinarsi abbastanza da potersene sincerare. Il rischio che i pastori sparassero anche verso di loro era alto: quelle persone non amavano certo chi proteggeva i cani randagi.
Non fu necessario andare troppo vicino, comunque. Fatti pochi passi videro la pecora stesa al suolo, con la lingua a penzoloni. Di fianco a lei ce n’era un’altra. Erano entrambe morte, forse per il caldo o forse per la fame.
Veronica sentì che gli occhi le si annebbiavano. Si volse e si allontanò subito. Era anche troppo chiaro che non poteva fare nulla. La rabbia le faceva accelerare i battiti. Sentiva il sangue pulsarle nelle orecchie. Miguel le stava dicendo qualcosa, ma lei non riusciva a sentirlo.
Si fermò solo quando fu davanti alle macchine. Il kennel con mamma e cuccioli era già stato caricato. Si fermò a osservare la Podenca e un sorriso si fece strada tra le lacrime.
Le era venuto in mente il salvataggio della prima cucciolata, avvenuto qualche mese prima. Anche allora Lua si era tenuta a distanza. Quando Veronica le aveva lasciato una borsa di plastica piena di cibo, la piccola Podenca si era avvicinata. Era talmente magra che le costole scoperte si potevano contare senza difficoltà. La ragazza si aspettava che la cagnolina si buttasse sul cibo con avidità; invece non l’aveva neppure toccato. Guardinga, Lua aveva preso in bocca la borsa e si era allontanata in mezzo all’erba alta. Veronica l’aveva subito seguita ed era così arrivata fino ai cuccioli. Tenendosi a distanza, aveva osservato la giovane mamma posare il sacchetto davanti ai suoi piccini. Nonostante stesse morendo di fame, Lua aveva fatto in modo che i piccoli mangiassero prima di lei. Quando Veronica si era avvicinata per prendere i piccoli, la cagnolina si era allontanata ed era rimasta a guardarla, senza dar mostra di essere sorpresa o addolorata. Era come se l’avesse volutamente portata fin lì, per darle modo di soccorrerle i suoi cuccioli.
Quei cuccioli erano Casper, Stich e Lula, tre bellissimi Podenchi diventati poi cagnolini docilissimi e affettuosi. Il coraggio di Lua aveva permesso ai suoi piccoli di avere l’opportunità di una vita migliore.
Ora finalmente toccava anche a lei la possibilità di conoscere una famiglia che le sapesse dare un futuro d’amore e rispetto.
Veronica si abbandonò contro lo schienale dell’auto. Sentiva mamma e cuccioli abbaiare nel retro e quel suono sembrava ridarle le forze.
Nonostante l’amarezza, si sentiva serena e combattiva. Ogni sua piccola vittoria sembrava rendere il mondo un po’ migliore.
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