Il nostro prossimo è tutto ciò che vive (Gandhi)

domenica 23 febbraio 2014

Ciao, Birba





Ciao, Birba, di Antonella Tomaselli (Storia vera di Attilia P., da “Confidenze tra amiche”, numero 8, 2014)


Nacque in una notte di fine estate: era un batuffolo bianco di circa quattro etti. La sua mamma, un cane da pastore maremmano - abruzzese, sotto la luce di una luna particolarmente brillante, aveva scavato una buca nella terra in fondo al giardino, e lì aveva partorito. Batuffolo bianco era nata per prima, seguita a breve distanza da altri sei batuffoli, tra fratellini e sorelline. Io ero seduta poco lontano, attenta e vigile. Andò tutto bene, e sia la mamma che i cuccioli, non ebbero bisogno del mio aiuto. Dopo qualche settimana ero già innamorata proprio di lei: erano tutti splendidi quei piccoli, ma Birba, così l'avevo chiamata, mi aveva preso il cuore. Non so spiegarmi il perché, forse per il suo sguardo, o per il suo modo di scodinzolare, oppure perché era davvero una "birba" sempre a caccia di guai.
Dissi a Francesco, il mio compagno, che la volevo tenere con noi per sempre. Lui era decisamente contrario, pensava che avessimo già troppi cani, ed effettivamente non aveva tutti i torti: io avevo, e ho tuttora, un allevamento di yorkshire terrier e lui aveva un allevamento di cani da pastore maremmano - abruzzesi. Due razze molto diverse, ma che sono la mia grande passione. Un giorno Francesco mi disse che dei signori che abitavano in un paese confinante l'avevano contattato perché volevano un maremmano. I fratellini di Birba avevano già trovato una casa. Era rimasta solo lei, che ormai aveva circa sei mesi. Io non ne volevo sapere di separarmi da lei, ma Francesco alla fine mi convinse e così, l'indomani, il giorno di San Valentino, quei signori sarebbero venuti a prenderla.
Pochi minuti prima che arrivassero, con il cuore gonfio diedi un bacio sul muso alla mia cucciolona e poi mi incamminai nel bosco dietro casa, insieme a mia figlia. Non volevo essere presente quando l'avrebbero portata via. Per me sarebbe stato troppo difficile. Quando ritornai, lei non c'era più, e, per quanto possa sembrare incredibile, anche se ero circondata da un sacco di cani, Birba mi mancava. Mi aveva lasciato un grande vuoto dentro.
Il 16 febbraio squillò il telefono, erano i nuovi proprietari di Birba. Mi dissero che la cagnolina era scappata. Il giorno prima aveva sollevato la rete di recinzione del giardino e poi era sparita. Mi sentii svenire. Ma non me lo permisi: non era il momento. Nemmeno stetti a ribattere a quei signori che avrebbero dovuto avvisarmi immediatamente. Così avevamo perso tempo prezioso. Salii in macchina e percorsi per ore i dintorni alla disperata ricerca della mia piccola. Tutto ciò successe più di quindici anni fa, quando ancora, nella mia zona, i campi si stendevano a perdita d'occhio, giusto interrotti da qualche sperduto casolare. Quando mi resi conto che ormai era buio pesto, dovetti sospendere le ricerche. Con l'angoscia che mi attanagliava il petto rientrai a casa e, accuditi e rifocillati tutti i miei cani, cominciai a preparare dei volantini. Scrissi semplicemente: "Perso cane bianco di grossa taglia", a cui unii il mio numero di telefono. Il giorno dopo, all'alba, tappezzai  ogni luogo con questi avvisi. E ripresi le ricerche non tralasciando i dintorni dei fiumi: l'Adige e il Po scorrono non lontano da casa mia. Ero disperata, ma non mollavo. Pensavo alla mia piccola, probabilmente impaurita e affamata e mi si stringeva il cuore. Ma inorridivo quando nella mia mente guizzava l'immagine di Birba magari travolta da un'automobile o comunque ferita e sofferente. Trovai molta collaborazione e tantissime persone mi telefonarono perché avevano visto un cane grande e bianco. Mi dicevano: "Era vicino al cancello della tal casa, in via ...", oppure: "Camminava lungo la riva di un fosso nei campi di...".
Accorrevo piena di speranza a ogni segnalazione. E non desistevo, nonostante le delusioni che incontravo.
A quei tempi le discariche non erano recintate, io le passai tutte in rassegna: Birba avrebbe potuto trovarsi là in cerca di cibo.
Una mattina, verso le otto, guidavo in aperta campagna, quando, dopo chilometri e chilometri di pianura desolata, intravidi una casa piccola e rustica. Mi avvicinai e scesi dall'automobile. A quel punto un vecchio uscì dalla porta imbracciando nientemeno che un fucile. Se non fossi stata così motivata, avrei fatto dietro front e me ne sarei andata, invece mi fermai a distanza di sicurezza e gli gridai: "Scusi, per caso ha visto un cane bianco?". Mi rispose burbero: "Se vedo un can mi ghe sparo!" (Se vedo un cane, io gli sparo). Mi sentii ribollire di rabbia e indignata urlai verso di lui: "No, signore! Lei deve fare molta attenzione, perché io la denuncio, e arrivo qui con i carabinieri!". Il vecchio imprecando rientrò in casa. Questa fu davvero l'unica volta che incontrai ostilità.
Andai nei grandi capannoni dove i pastori custodivano le pecore, pensando che potessero averla trattenuta per usarla con il gregge; entrai negli accampamenti dei rom, bussando ad ogni roulotte; attraversai a piedi distese di sterpi, chiamandola a gran voce e guadagnandoci solo numerose ferite alle caviglie; passai di casa in casa, ponendo sempre la stessa domanda.
I giorni diventavano settimane, ma Birba non la trovavo, anche se le segnalazioni si facevano più precise. Era veramente il mio cane a essere avvistato, e io seguivo i suoi spostamenti. Si stava allontanando, ma era viva.
Una notte mi chiamò una sconosciuta: vicino a casa sua c'era un cane bianco morto. Mi precipitai da lei, seguendo le indicazioni che mi aveva fornito. Non era la mia Birba, era una povera "segugina". Piansi per lei.
Era ormai passato più di un mese, quando mi segnalarono un cane bianco a parecchi chilometri di distanza da casa. Accorsi sul posto. Era proprio lei! La riconobbi subito. Distesa su un prato, sembrava stesse semplicemente scaldandosi al sole. Urlai il suo nome e lei drizzò di scatto la testa. Altrettanto repentinamente prese la fuga, nella direzione opposta alla mia, verso l'autostrada che si snodava poco lontano. Per un istante rimasi impietrita: non capivo il suo comportamento. Non mi aveva riconosciuta? Forse il vento sfavorevole non le aveva portato il mio odore? Oppure mi vedeva come la traditrice che l'aveva ceduta ad altri? Non lo so ... Dopo quell'attimo di smarrimento risalii in macchina e imboccai l'autostrada per arrivare da Birba dalla direzione più a monte. Inorridii quando  mi ritrovai il mio cane davanti  che, a tutta velocità, attraversava dribblando auto e camion. Accostai tremante nella corsia di emergenza, mentre Birba, superata incolume la strada, già correva nei campi laterali. Solo un miracolo poteva aver scongiurato una catastrofe. A quel punto comunicai gli ultimi avvenimenti anche a carabinieri e polizia, confidando nel loro aiuto: dopo quell'episodio temevo che la mia cagnolina, anche se inconsapevolmente, potesse fare del male a qualcuno.
Arrivò il caldo torrido di quell'estate e io avevo paura che Birba potesse morire di sete, quell'anno persino il Po era in secca. Dalle segnalazioni capii che l'aveva attraversato. Poi più nulla. Ero stremata, ma non volevo mollare. Eravamo ormai a metà luglio quando mi chiamò un signore di Ferrara, mi disse: "Qui con me c'è la  vostra cagnolina". Era vero. Era risalito a noi attraverso il tatuaggio di Birba. L'aveva trovata nei giardini pubblici di Ferrara, mentre passeggiava con il suo cane, che neanche a farlo apposta era un maremmano. Le si era avvicinato e i due cani avevano fatto subito amicizia. Poi lui le aveva messo un guinzaglio e con docilità Birba l'aveva seguito fino a casa. Il giorno dopo lui e il suo veterinario, letto il tatuaggio, avevano dato il via alle  ricerche. Non fu facile, perché non trovarono subito le necessarie corrispondenze. Individuarono però il luogo di provenienza: Padova. Fortuna volle che questo stupendo signore non demordesse. Continuando a investigare sfogliò un libro sulla razza. Trovò, in fondo al manuale, un elenco di allevatori, completo di indirizzi: in provincia di Padova eravamo indicati solo noi.
Fu "un grande" per il suo impegno e per la sua umanità. Gliene sarò riconoscente per sempre.
Preferii che fosse Francesco ad andare a riprendere Birba. Io volevo aspettarla a casa e preparare il suo rientro. Chiusi nei recinti tutti gli altri cani e posi una ciotola di buon cibo accanto a una di acqua fresca. Poi, con vicino la sua mamma, l'unico cane che avevo lasciato libero, mi sedetti sulla panca davanti a casa, in attesa. Quando arrivò, Birba e sua madre si annusarono a lungo. Si riconobbero. Io osservavo immobile. Lasciai che la mia cagnolina ritrovata perlustrasse con calma ogni angolo del cortile, del giardino, della casa. Francesco a quel punto liberò gli altri cani, uno per volta. Birba, a suo modo, li salutò tutti. Solo dopo, con aria dignitosa, venne verso di me. Mi si sedette accanto e mentre spazzolava lentamente il terreno con la coda, ci ritrovammo. Le posai una mano sul muso e con una carezza arrivai dietro le sue orecchie per la grattatina che le era sempre piaciuta. Lei, assecondano le coccole, piegò un po' la testa, sfiorando il mio grembo. In quel momento le sussurrai semplicemente: "Ciao Birba". Lei fece un sospiro. Non so se fu casuale, ma io volli interpretarlo come se la mia piccola avesse voluto dirmi: "Finalmente sono a casa".
Forse può stupire che il mio cane non sia subito corso verso di me, ma chi conosce questa razza sa bene che è nata per fare la guardia a greggi di pecore e che ha nel proprio DNA il lavoro di gruppo e una speciale solidarietà fra membri della stessa razza. Per Birba fu dunque naturale dare la priorità al suo territorio e ai suoi vecchi compagni. E io le dovevo quel rispetto. Nonostante le sue ancestrali caratteristiche di indipendenza, lei divenne, in seguito, la mia ombra. Probabilmente proprio per le esperienze legate alla sua fuga. Tante volte mi sono chiesta quali avventure e disavventure abbia vissuto Birba durante la sua assenza e lascio correre la fantasia fino all'inverosimile. In qualsiasi caso lei è riuscita a sopravvivere. Anche questo quasi certamente è stato possibile per le particolarità della razza: è un cane molto rustico, che si accontenta di poco cibo. Inoltre è attento e sempre all'erta e infaticabile. E' un cane antico, con il cuore integro dei suoi antenati.
Birba rimase con noi per tutta la sua vita. Quando morì la mia sofferenza fu grande. Poi, piano piano, il dolore si fece più lontano. Qualcuno, tanto tempo fa, mi raccontò che i cani ululano alla luna piena perché in quel momento vedono lassù tutti i loro simili che li hanno lasciati, e proprio in questo modo li salutano. Ogni volta che c'è la luna piena io la guardo pensando alla mia Birba. Lei era nata nella luce della luna. Non ci sarà un'altra Birba per me, ogni cane è unico e speciale, ma di una cosa sono certa: fin che vivrò, io ne avrò sempre uno (almeno!) accanto. Alcune persone forse potrebbero pensare che un cane non è così importante nella vita, e magari non vorranno mai provare questa meravigliosa esperienza. Be', mi dispiace, ma non sanno cosa si perdono.

1 commento:

rosa russo ha detto...

Ho letto questa, magnifica, storia su Confidenze e ora riletta. E per la seconda volta ho avuto brividi ( mentre Birba attraversava la strada),e lacrime (quando è ritornata a casa) Brava Antonella.