Il nostro prossimo è tutto ciò che vive (Gandhi)

lunedì 19 maggio 2014

Tommy




"Tommy", di Antonella Tomaselli (storia vera di Fernanda Saccomandi, da "Confidenze tra amiche", numero 20, 2014)


Ero in viaggio già da diverse ore, volevo rientrare prima che facesse buio, ma nevicava in modo esagerato e il tragitto sembrava infinito. Amo la neve, ma solo quando me la posso godere da dietro una finestra di casa, insieme alle mie persone care, magari con l'atmosfera resa ancora più intima da un caminetto acceso e scoppiettante. Così invece mi rendeva la vita difficile. Quando finalmente uscii dall'autostrada, pensai: "Pochi chilometri e sarò a casa". Ma le strade statali e provinciali erano messe ancora peggio: sembrava non avessero mai conosciuto mezzi spazzaneve. Del resto la nevicata era veramente fuori del comune. Con gli occhi ormai completamente abbagliati dal candore che mi circondava, affrontai i tornanti su per la collina, e finalmente, accompagnata dalle prime ombre della sera, arrivai all'agognata meta.
"Un viaggio assurdo", pensai, mentre affondavo nella neve fino al polpaccio percorrendo il vialetto di casa. Fu proprio in quel momento che qualcosa attirò la mia attenzione, un'ombra, un movimento, laggiù, oltre il giardino. Mi fermai per guardare meglio e lo vidi di nuovo, per un attimo. Rimasi lì, stupita, per qualche istante. Non era possibile, la grande stanchezza e quella neve che mi abbacinava da tutto il giorno certamente mi stavano giocando brutti scherzi: mi sembrava infatti di aver visto Minou, la mia prima cagnolina. L'avevo amata tantissimo, ma era morta già da diversi anni. Continuai a guardare, ma non c'era nulla.
Entrai e mi accolsero i miei famigliari. Raccontai subito del viaggio pazzesco e mentre mi toglievo le scarpe fradice, aggiunsi ridendo: "Ho avuto una allucinazione, figuratevi che proprio qui fuori mi è sembrato di vedere Minou". Mio fratello replicò: "Ma anch'io poco fa ho visto qualcosa muoversi nella neve". Si avvicinò a una finestra e scrutò la valle. A quel punto io rimisi ai piedi le scarpette fradice e mi precipitai fuori. Nel turbinio della neve non si vedeva quasi niente e il buio della sera certamente non agevolava. Cominciai a chiamare ad alta voce, ma con una certa dolcezza: "Piccolino, vieni qui da me". Mi adoperavo anche con gli sbaciucchiamenti a labbra arricciate che si usano per richiamare cani e gatti. E lo vidi: era uno yorkshire terrier. Prese a correre verso di me. Be', più che una corsa erano balzi nel manto nevoso in cui sprofondava, per poi scattare fuori di nuovo. Esterrefatta, mi sedetti su un gradino, affondando a mia volta nella neve. Fu un gesto istintivo, per essere più prossima alla sua altezza. Continuai a parlargli dolcemente e quando lui mi fu molto vicino, mi saltò in braccio. Era tutto bagnato e tremava come una foglia. Stringendolo piano al petto lo portai in casa. Lo asciugai per bene e poi tutti gli dedicammo le nostre attenzioni, comprese le mie due cagnoline (yorkshire terrier pure loro): Minou Seconda e sua figlia Sissi. Il trovatello ricambiava festoso. Gli preparai una ciotola con l'acqua e un'altra con le crocchette. Bevve, ma non volle  mangiare. Dopo vari tentativi scoprii che era ghiotto di parmigiano. Almeno mangiò quello. Mentre lo accarezzavo cominciai a chiedermi: "L'avrà perso qualcuno? Oppure è stato abbandonato?" Certamente era un cagnolino ben curato, non era magro, e aveva un collarino. Rosso. Aveva anche un tatuaggio, ma era illeggibile. Mi stavo già innamorando di quel trottolino, ma certamente aveva un proprietario che era in pena per lui. Il mattino dopo cominciai a telefonare a tappeto a tutti i veterinari della zona. Mi rivolsi pure ai carabinieri: "Ho trovato un cagnolino così e così, datemi una mano". Intanto il trovatello non mi mollava un secondo, sempre appiccicato alle mie gambe. Erano giusto passati due o tre giorni quando mi telefonò una veterinaria: "Il cane che ha trovato forse è quello che hanno perso dei miei clienti", mi disse, e aggiunse una descrizione accurata. Sembrava davvero lui. Annotai il  numero di telefono dei suoi clienti e li chiamai. Esordii raccontando di aver trovato un cagnolino con un collarino rosso, eccetera eccetera. Dall'altro capo del telefono uno scoppio di gioia: il mio interlocutore chiamava la moglie a gran voce, gridandole che Tommy era stato ritrovato, e, nello stesso tempo, rispondeva a me, intercalando il tutto con vari "Ossignore" accompagnati da sospiri di sollievo. Bene, li avevo trovati. Cioè, non proprio bene, mi dispiaceva riportargli il cagnolino, mi ero così affezionata. Ma quel che è giusto è giusto, e presi appuntamento per il giorno dopo. Loro abitavano dall'altra parte della valle, sulla collina prospiciente a quella dove sorgeva la mia casa. Seguendo le indicazioni che mi avevano fornito arrivai senza problemi. Mi aspettavo di tutto fuorché di trovarmi davanti a un castello. Era lì che abitavano. Ero affascinata. Marito e moglie mi vennero incontro, accompagnati da tutti i loro cani in branco. Lui aveva l'aspetto di un lord inglese, lei era bellissima e appariscente.
Io, presentandomi, misi a terra Tommy. Ma lui prese a saltare intorno alle mie gambe perché lo riprendessi tra le braccia. I proprietari lo chiamarono e come un fulmine il cagnolino corse a far loro le feste. Poi passò a salutare tutti cani e i gatti: i suoi vecchi compagni di giochi. E ritornò da me. Il "lord" e la moglie mi invitarono  in uno dei saloni del castello e seduti su uno dei divani, mentre Tommy continuava imperterrito a lavarmi la faccia di baci, mi raccontarono tutta la storia: erano viticoltori e aprivano la tenuta al pubblico periodicamente. Amavano tanto gli animali e tutti lo sapevano. Poco tempo prima qualcuno dei visitatori aveva abbandonato lì da loro, Tommy, con tanto di libretto sanitario di accompagnamento. Loro l'avevano accolto volentieri. In breve lo yorkino aveva rivelato il suo temperamento audace e, divenuto il capo branco, guidava tutti gli altri cani in diverse scorribande. Qualche volta, fuggiva per missioni solitarie, rifacendosi vivo dopo un giorno o due. Era uno spirito libero. Durante il racconto Tommy non smetteva di abbracciarmi, e mi osservava con due occhioni che dicevano: "Portami con te". Guardavo il lord e la signora piena di imbarazzo, alla fine proposi una piccola dilazione dei tempi: l'avrei tenuto io ancora per qualche giorno.
Passato il tempo stabilito, ritornai da loro. Tommy scese dall'automobile tutto felice, salutò con enfasi i proprietari e tutti gli altri animali, e poi con un allegro balzo saltò di nuovo nella mia auto. Che fare?
Quei signori furono davvero fantastici: con tutto il bene che gli volevano, con gli occhi un po' umidi, semplicemente dissero: "Tommy, ha scelto lei". Ci abbracciammo. Io salii in macchina con il cagnolino e accarezzandolo gli dissi: "Piccolino, dove ci stanno due yorkini, ce ne possono stare anche tre. Andiamo a casa." Lui scodinzolava felice.
A volte anche gli spiriti liberi si innamorano e dimenticano l'ebbrezza dell'avventura  per seguire il cuore. E fu così che diventammo inseparabili.

1 commento:

Cristina ha detto...

E' vero, spesso sono loro che scelgono noi e non il contrario!