Il nostro prossimo è tutto ciò che vive (Gandhi)

mercoledì 25 giugno 2014

Mayfair e il mistero del lago

-undicesima puntata-



Aprì la porta di casa esausto. Aveva chiesto un paio d’ore di permesso perché si sentiva febbricitante. L’emozione dell’incontro di quella mattina ne era senz’altro la causa. Maledizione alla sua abitudine di non leggere i giornali. Cosa poteva essere successo? Tra poco avrebbe saputo perché Valenti non era venuto di persona. Antoine pensò che la mezza cinese doveva essere la famosa Kirstin di cui gli aveva parlato l’italiano. Non gliela aveva mai descritta oltre al fatto che fosse una bellissima donna, ex modella. Fra l’altro con qualcuno avrebbe dovuto parlare di soldi: osservando un buco sotto la suola della scarpa che si stava sfilando, il giovane barman considerò che fino a quel momento non aveva visto neppure un misero franco. Nemmeno dopo la prima consegna, a un arrogante italo-americano.
Si versò un whisky, avviò l’ultimo compact disc di Madonna a tutto volume e si buttò sul letto. Non ebbe il tempo di bagnarsi le labbra che udì il campanello della porta. Andò ad aprire scalzo, con il bicchiere in mano. «Sarà quello stronzo del vicino che si lamenta per la musica», pensò.
«Sì... prego?»
L’uomo alto, con i capelli ondulati colore dell’acciaio e l’impeccabile cappotto cammello, frappose il suo bastone fra lo stipite e la porta.
«Sono un amico di Paolo Valenti e credo che lei abbia qualcosa che mi appartiene.» Ignorando lo sguardo sbigottito di Antoine, entrò con decisione chiudendosi la porta alle spalle.
«...penso, quindi, di accompagnare mademoiselle Mac Neely questa sera.»
Carlo terminò così il resoconto dei fatti a Damiens.
«Guardato a vista dai miei uomini, però», aggiunse il commissario.
«Purché siano invisibili», sottolineò il giornalista.
«Non mi sembra che oggi abbiate avuto problemi, o sbaglio?» Dalla voce di Damiens trapelava un pizzico di polemica.
«No, certo. A proposito, chi erano gli angeli custodi di Bamboo?»
«Comparse ne avevamo piazzate molte», il poliziotto sorrise di soddisfazione, «ma il protagonista era proprio dentro all’hotel... texano originale!»
«Il ricco americano», Bamboo rise.
Damiens programmò lo spostamento del giornalista a Ginevra già per la mattina dopo e gli comunicò il nome del collega svizzero, monsieur Jean Loup Montani, cui avrebbe dovuto far riferimento.
Carlo e Bamboo discesero insieme le scale della Sureté e salirono sul primo taxi del posteggio all’angolo.
«Pensavo che... visto che questa sera... lei potrebbe, se vuole, cenare da me.» La ragazza avvampò guardando fisso la nuca dell’autista.
«Volentieri, grazie», rispose Tonolli sinceramente ignaro del suo imbarazzo.
«Cosa preparo per Mayfair?» Bamboo stentava a contenere la gioia.
«Soltanto del riso bianco stracotto e sciacquato in acqua fredda. Al resto penserò io.»
Quella mezza cinese era la prima persona che dava per scontato, e senza il minimo stupore, che il suo cane sarebbe stato con lui. E di ciò, suo malgrado, Carlo fu costretto a prender nota.
Più tardi, entrando in casa di Bamboo Li, Carlo si scaldò immediatamente nell’abbraccio della musica giapponese di sottofondo, del tepore del caminetto acceso, delle tende a pacchetto legate casualmente a metà finestra, dei cuscini di raso e seta a piccolo punto sui divani habillés con vestine di cotone da materasso trattenuto da semplici fettucce, della luce di un’abat-jour liberty e... del profumo di un’invitante quiche al formaggio che anche Mayfair, annusando per aria, sembrava apprezzare molto.
La padrona di casa, impegnata al telefono, gli fece cenno di spogliarsi del loden. Sembrava una ragazzina, così sottile nei jeans stinti e con quei capelli a caschetto che ondeggiavano intorno all’ovale bianco del viso mentre tentava nervosamente di spiegare qualcosa a un certo Pierre. Qualcosa che Carlo non riuscì ad afferrare se non per mezze frasi in un francese velocissimo, sincopato, contratto nel tipico argot parigino.
«J’suis désoleé mais toi tu n’peut pas comprendre... c’est pour mon travail...» Bamboo chiuse la comunicazione con un po’ di tristezza.
«Ciao, come stai? Il lei e il voi mi hanno rotto le palle.»
Bamboo sorrise. «Anche a me. Io sto bene, grazie.»
«Pierre invece no.»
Questa volta una vera risata cancellò anche l’ultima ombra di malinconia dagli occhi di Bamboo.
«Vuoi un drink?»
«Per carità no. Ho una fame da morire. Anche Mayfair ha fame.»
«Buttiamoci subito a tavola, allora.» Bamboo scomparve nella piccola cucina separata dalla sala da una semiparete in vetrocemento.
Carlo piazzò Mayfair sul tappeto accanto al camino e si sedette al piccolo tavolo rotondo d’angolo. Da quella posizione poteva vedere la ragazza di spalle trafficare ai fornelli e, contro la sua volontà, dovette ammettere che era molto sexy. Ma fu un pensiero veloce come una meteora che subito s’infilò nell’anfratto più recondito del suo subconscio al punto che, alla fine, poteva quasi dubitare che la persona dolce e sorridente che gli stava servendo zuppa di cipolle e quiche fosse davvero una donna.
«E Mayfair? Il riso è pronto.»
«Già.» Carlo si alzò ed estrasse dalla tasca dell’immancabile loden un piccolo involucro sottovuoto. Tornò al tavolo, lo aprì e mischiò il riso bianco al contenuto (pezzettini di pollo lessato), con una goccia di olio d’oliva. Alla fine vi unì con la punta del coltello una polverina bianca che, come per incanto, apparve da una bustina che teneva nel portafogli.
«Calcio», spiegò porgendo la razione al cane che la accolse di malavoglia, completamente inebriato dai profumi più allettanti che aleggiavano in quella casa e che da un bel po’ solleticavano le sue piccole narici.
«Niente da fare per quanto riguarda la quiche. Per te è troppo pesante, ok?» E Mayfair che avrebbe fatto qualunque cosa per quegli occhi grigi di uomo, iniziò a mangiare l’insipido pollo lesso, ubbidiente. Il suo cuore di cane sapeva che, prima o poi, un contentino sarebbe arrivato comunque. E così fu che, proprio mentre stava leccando l’ultimo chicco di riso, Carlo le allungò un bocconcino saporito, speciale, con una carezza di quelle sue dita lunghe e calme. «Perché sei brava, sempre più brava.»
«Come ci dovremo presentare ad Antoine?» Bamboo era felice del risultato della sua cena: il cibo era davvero fantastico.
«Dovremo dirgli una mezza verità... scusa, ho la bocca piena. Questo piatto è ottimo.»
Per un attimo Bamboo si chiese se quello fosse il tipo d’uomo che avrebbe potuto catturare per la gola. Ma si rispose subito che no, a lui non importava nulla della buona cucina. O per lo meno non ne faceva certo una ragione di vita. Non le sembrava il tipo che desiderasse mettere ordine nelle sue abitudini di scapolo incallito. Mayfair gli bastava come presenza viva perché lo amava e basta, senza parlare, senza criticare, senza rompergli le palle, come amava dire lui. Si capiva subito che Carlo odiava le formalità. Meglio il loden macchiato e il pollo del cane in tasca, piuttosto delle scarpe superlucide, l’orario obbligato dei pasti e le sedute di condominio. Lei, quindi, non avrebbe mai dovuto desiderare il classico matrimonio con quell’uomo. Il loro sarebbe stato un amore a distanza, fatto di appuntamenti imprevedibili fra Milano e Parigi, fra un aereo e un ristorante cinese... un amore che non avrebbe mai conosciuto la noia. Che bello sognare! pensò.
«Diremo che i De Mei sono morti, che tu sei la sorella di Kirstin e io il vostro legale. Che te ne pare? Ma a cosa stai pensando?» Dio com’era svanita quella ragazza. Carlo era davvero disorientato.
«Scusa, ma... sì certo, va bene. Condurrai tu il dialogo, io ti farò da spalla.» Bamboo arrossì violentemente, come se lui avesse potuto leggere nei suoi pensieri.
«D’accordo, però fai attenzione. Anche il minimo errore o la più piccola sbadataggine può essere fatale. Non si tratta di un gioco di società.»
Il telefono portatile trillò sul tavolo.
«Speriamo che non sia quella lagna di Pierre…» scherzò Carlo.
«Ma che ne sai tu di Pierre?... hallo? Mais non! C’est pas possible!» La voce di Bamboo era spaventata. «...ça va. Il viendra là en vingt minutes.»
Carlo la guardò mentre, con mano tremante, prendeva nota di un indirizzo sul blocco accanto al telefono.
«Antoine è morto. Da almeno tre ore. Qualcuno gli ha sparato in mezzo agli occhi. Damiens ti aspetta subito a casa sua. Dice però che è meglio che io non t’accompagni, poi ti spiegherà perché. Ha detto anche di attendere sul taxi nella via parallela, all’altezza del numero 18. Ecco, questo è il nome della via.» La ragazza strappò il foglio dal notes e glielo allungò. «Ti avvicinerà lì uno dei suoi uomini in borghese. Stai attento, per favore... e fammi sapere qualcosa.»
Mister X era più vicino del previsto, dunque.
O, forse, era sempre stato vicino. Forse si serviva di lui per arrivare a ciò che gli premeva trovare e non viceversa, come presuntuosamente aveva creduto finora. Carlo agghiacciò. Stava davvero scherzando col fuoco.

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