-quarta puntata-
31 dicembre 2000, Bellagio, ore 10,30.
«Carlo, tesoro» Lucia Guanzani avanzò con le piccole mani inanellate stese verso il nipote che le accolse nelle sue, grandi, e le baciò. Alle sue spalle la sontuosa facciata della villa nascondeva, fra i pesanti tendaggi delle imposte, qualche sguardo indiscreto della servitù, da anni al servizio della nobildonna e sinceramente affezionata a quella strana, divertente vecchia signora. In rappresentanza dei Persiani Blue Diamond si sedette, regalmente felpato, sul primo scalino di marmo dell’ingresso principale. Magnifico maschio nero-blu, pelo serico in cascata fino a terra, occhi azzurri socchiusi in segno di diffidenza e razzismo.
«Carlo, tesoro... non vedevo l’ora... e la piccola, scusa volevo dire... la dolce, Mayfair?»
La donna cercò di sbirciare dentro la Mini.
Sentendo il suo nome, la cagnolina spuntò dal petto di Carlo, fra un bottone e l’altro del loden, gli occhi di carbone ammiccanti sotto la frangetta.
Blue Diamond non poteva credere a quell’improvviso, terribile puzzo di cane: s’incurvò paurosamente, si gonfiò raddoppiando di colpo la sua mole già di otto chili, abbassò le orecchie, spalancò le fauci nel muso mongolo e piatto (i canini candidi, la lingua color del sangue), e soffiò, soffiò come un piccolo leone all’attacco. Nemmeno Lucia Guanzani gradì la visione di Mayfair: «Un cane? Uno stupido cane in casa mia? Questa volta hai davvero esagerato, non ci trovo nulla di divertente in questo scherzo. E poi guarda il povero Blue in che stato di nervi è ridotto!»
«D’accordo, madame. Scusa. Riprendo subito la strada di casa, anche se, devo dire, ti facevo più spiritosa. A proposito, questo non è uno stupido cane, questo è il mio cane, il cui unico difetto è di voler stare con me, perché non può né correre né saltare e sarà così, dicono i medici, per il resto della sua breve vita.»
Con gesti lenti ma risoluti Carlo stava già ricaricando le sacche nella Mini, quando la zia, irritata più per il fatto di essere considerata dal nipote - l’uomo in assoluto più intelligente di sua conoscenza - una povera di spirito, borbottò alle sue spalle: «Non fare il bambino e, soprattutto, non drammatizzare. Ora almeno posso confessarti che francamente per me sarebbe stato molto peggio se ti fossi innamorato di una ragazza piccola di statura. Così grosso come sei! Ma, bada bene, fa’ in modo che i miei Persiani non debbano subire alcun trauma da questo tuo cane. Ora vai a fare una doccia. Il pranzo sarà servito fra un’ora esatta nel “Salone Rosa”. Non ammetto ritardi, gli altri ospiti sono già tutti arrivati.» Zia Lucia si alzò sulle punte dei piedi, carezzò con la piccola mano una guancia malrasata del nipote e, quasi di corsa, rientrò.
Mayfair sembrò sorridere mentre tornava al suo posto, sul cuore di Carlo.
Erano già tutti seduti attorno al tavolo quando Carlo fece il suo ingresso, puntuale, nel “Salone Rosa”. Sua zia lo presentò con la consueta passione: «È lui, il mio Carlotto, di cui vi ho già tanto parlato, cari amici.» La donna si sedette a capotavola, accennando una smorfia al muso di Mayfair quando lo scorse spuntare dai revers della giacca di tweed del nipote. Carlo ricevette sorrisi e strette di mano più o meno calorose in ordine cronologico da: la vecchia Adele, da sempre dama di compagnia di Lucia Guanzani; Barnaba De Mei, infossato in una poltroncina a rotelle, ricchissimo proprietario delle famose aziende farmaceutiche; Gerti Mullausen, sua arcigna infermiera svizzera (che Carlo mentalmente soprannominò subito “Faccia di teschio”); Giovanni e Margherita Viani, una tranquilla coppia di mezza età; Paolo Valenti, un sedicente affarista con l’aspetto dell’eroe di telenovelas; e, dulcis in fundo, Kirstin, splendida ex modella e terza moglie di De Mei.
«Mi permetta, Tonolli, di dirle che sono molto onorato di conoscerla. Sono anni che la leggo e la apprezzo per la sua assoluta originalità.» Giovanni Viani si presentò: era direttore di un piccolo quotidiano di provincia e Carlo pensò che la sua presenza lì, per l’apparente insignificanza della persona, fosse l’astuto tentativo di sua zia di procurargli al più presto una nuova assunzione. Lo stesso Viani confermò questo suo dubbio, attribuendo proprio all’arrivo di Carlo la decisione dell’ultimo minuto di trascorrere il capodanno a “Villa Guanzani”.
Innervosito, Carlo incenerì con un’occhiata zia Lucia e poi iniziò a punzecchiare il povero Viani disquisendo sulla sua intenzione di abbandonare il lavoro di giornalista diventato ormai impiegatizio, cogliendo al volo l’occasione dell’ennesimo licenziamento. Soffermò con sfida lo sguardo in quello di Viani pronunciando la parola licenziamento in attesa di una reazione qualsiasi da parte del collega. Ma ne dovette restare deluso perché l’altro ignorò la provocazione un po’ per educazione, un po’ perché, probabilmente, non ne afferrò l’ironia.
La conversazione fu abilmente indirizzata dalla padrona di casa sui programmi della serata. «Non ti ho ancora detto Carlo (anche perché temevo che, sapendolo in anticipo, non saresti venuto), che la festa di questa notte sarà mascherata. Come ti vestirai caro?»
«Hai ben temuto zia, perciò non contare sulla mia presenza», rispose Carlo con apparente noncuranza, offrendo un bocconcino alla silenziosa Mayfair, accucciata sulle sue ginocchia sotto il tavolo. Nello stesso tempo avvertì un piede scalzo accostarsi alla sua Church’s destra per insinuarglisi, dalla caviglia in su, fino al polpaccio. Alzò gli occhi sulla bellissima Kirstin che, senza il minimo pudore, gli spedì un bacio con la mano. La spregiudicatezza della ragazza gli suscitò tanto disagio che istintivamente spostò lo sguardo su De Mei. Ma si rassicurò istantaneamente perché il vecchio sembrava totalmente assente.
«Il travestimento ideale per lei, sarebbe quello da orso, magari con il suo cucciolo appresso.» Kirstin rise con quella sua voce di musica che l’accento straniero contribuiva a rendere ancora più sexy.
Carlo era sempre piaciuto alle donne molto più di quanto loro piacessero a lui. Si sentiva viziato dall’altro sesso, adorato, vezzeggiato, coccolato, mitizzato e proprio per questo si smontava. Avrebbe desiderato qualcosa di diverso, un rapporto intelligente e stimolante, fatto di mistero e di complicità. Ma a questo punto della sua vita era convinto che non fosse possibile, forse per la totale mancanza di sense of humour dimostrata dalle sue partners. Archiviò quindi con estremo piacere Kirstin e il suo piedino nella pratica mentale denominata “toccata e fuga”. Un’avventura senza problemi (considerata l’esistenza del marito rimbecillito e facoltoso), circoscritta a questo capodanno che, si disse, poteva anche valere la pena di una disgustosa festa in maschera.
«Spiacente di deluderla, ma mi vestirò da fantasma», improvvisò.
Bloccò sotto il tavolo il piede di Kirstin fra le gambe e occhieggiò a sua zia che gli parve perplessa ma divertita.
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