Il nostro prossimo è tutto ciò che vive (Gandhi)

giovedì 10 luglio 2014

Mayfair e il mistero del lago

-quindicesima puntata-



10. I Mullausen
7 gennaio 2001, fra Ginevra e il valico del Fréjus, ore 10.15.
L’uomo dai capelli d’argento guidava con calma. Fra la sua Saab e il camper s’era intrufolata qualche altra vettura. Stavano percorrendo le ultime curve verso il traforo del Fréjus: in meno di un’ora sarebbero entrati in Italia. Non aveva un programma preciso. Aveva lasciato che la ragazza recuperasse la formula nell’incertezza che potesse essere pedinata dalla polizia o da quel rompiballe del giornalista. L’uomo dai capelli d’argento non riusciva a capire il gioco di ciascuno, né tantomeno i ruoli e i rapporti fra loro.
Come un serpente a sonagli agiva d’istinto, nell’attesa del momento giusto per scattare e colpire. Non rifletteva né si faceva troppe domande, sarebbe stata solo una perdita di tempo. Seguiva la strada concentrandosi soltanto sulla linea tratteggiata al centro, gli occhi come due fessure. Unica certezza, quella data, quell’appuntamento spostato e improrogabile... il 12 gennaio.
Il pullmino era fornito di tutto: dal fax al televisore, dal telefono al frigobar, da un ponte radio con il commissariato di Ginevra alle rubriche telefoniche in dischetto di tutto il mondo.
Carlo sfogliava e risfogliava il dossier in inglese senza capirci nulla. I termini tecnici, inframmezzati da numeri e formule, non erano chiari neppure a Bamboo che, pur essendo di madrelingua inglese, aveva potuto soltanto intuire che si trattasse di uno studio per la ricerca di un nuovo farmaco rivoluzionario per la cura dell’AIDS.
Piano piano, comunque, il puzzle si stava completando nel cervello del giornalista. Ora non restava che incastrare il topo nella trappola giusta, e non sarebbe stata operazione da poco.
Infilò di nuovo l’incartamento nella busta e stava per richiuderla quando s’accorse che ne era fuoriuscita un’altra molto più piccola. La aprì. Conteneva uno strano biglietto scritto a macchina: “M.J.R.: Mal d’Africa-casella postale 503 Cagliari”.
Automaticamente, quasi senza pensarci, Carlo compose sul cellulare il numero diretto di Viani. «Sono Tonolli, buongiorno direttore.»
«Salve, come va?» I due sapevano di poter parlare liberamente da quella linea che Viani aveva recentemente e segretamente carpito al nuovo praticante della redazione sport cedendogli la sua, più “calda” e certamente controllata dalla polizia.
Trucchetto che comunque sarebbe durato poco, lo sapevano bene; infatti usavano quella linea solo per le emergenze.
«Ho bisogno di un controllo.» Provi a mandare subito, dall’ufficio postale raggiungibile più velocemente, un telegramma con la frase “Mal d’Africa” alla casella postale 503 di Cagliari.»
«Immagina già qualcosa di particolare?»
«No, tuttavia si tratta di un fatto strettamente legato al contenuto della cassetta svizzera.»
«Ok. Quando ci sentiamo?»
«Il più presto possibile. Io sarò a Milano questa sera ma taccia con chiunque. A proposito, le ho mandato il pezzo per e-mail pochi minuti fa. Mi sembra piuttosto buono... scatenerà l’inferno. È pronto?»
«Siamo in due, no?»
Carlo chiuse il cellulare e si prese la fronte fra le mani. Era stanco.
«Cosa prevede ora il nostro piano?» Bamboo gli si avvicinò sorseggiando una tazza di caffé americano.
«Quasi certamente il nostro uomo ci sta tenendo d’occhio. Tu non devi rischiare più, dunque dobbiamo separarci cambiando velocemente e, soprattutto non visti, questo mezzo di trasporto. Prima di passare in Italia, alla dogana, i funzionari francesi insceneranno una storia qualsiasi per trasferire il camper in un garage dove resterà posteggiato per un bel po’. Tu rientrerai a Parigi in elicottero insieme con i due “Serpico” francesi, io proseguirò per Milano a bordo di una Golf con targa italiana, un paio d’ore dopo.»
«Ma che senso ha? In questo modo lui perderà noi e noi perderemo lui...»
«Brava. È proprio questo che vogliamo. Mister X deve trovarsi nel buio più totale. Soltanto così verrà a cercare me e soltanto me per recuperare il maltolto.»
«Non ho molta voglia di lasciarti solo nelle fauci del lupo.»
Stranamente Bamboo non si pentì di aver espresso i suoi sentimenti.
Stranamente Carlo si sentì lusingato e forse un po’ emozionato dalle sue parole.
Per qualche secondo i loro occhi si incontrarono, in silenzio. Quelli grigi di lui, congenitamente tristi, irresistibilmente interrogativi. Quelli colore della notte di lei, irrimediabilmente innamorati, languidamente terrorizzati. Quelli di carbone di Mayfair, animalescamente consapevoli di quell’improvvisa corrente irrazionale, si levarono dal grembo di Carlo tentando invano di intromettersi fra loro. Fortunatamente per la cagnolina quell’attimo fu brevissimo, come sempre spezzato dalla crudele autodifesa di Carlo.
«Non credo comunque di aver bisogno di una baby sitter. Ho già passato l’eta dello svezzamento, mi pare.»
Bamboo non se la prese. Ormai lo conosceva, e si chiuse in se stessa. Tranquillizzata dal tono di voce gelido del suo amico, Mayfair tornò a ronfare beatamente.
Uno dei due agenti francesi passò a Carlo un cellulare: «Da Klosters.»
«Ciao caro, puoi essere orgoglioso di me. So tutto sui Mullausen!!!» Zia Lucia era raggiante come una sposa.
«Dove sei ora?»
«Ancora qui. Volevo recuperarti anche un po’ di documentazione. Ma devo essere sincera: non ho trovato la minima difficoltà. Qui infatti, in casa Mullausen, sono rimasti una domestica poco sveglia e apparentemente muta, una certa Bea, e una vecchia parente completamente rimbecillita e logorroica che mi ha raccontato la storia di famiglia. Figurati che mi ha dato addirittura un appuntamento domattina per mostrarmi gli album delle foto ricordo. Il padre di Gerti, pardon, di Friedrich, era un maestro di sci. Una bravissima persona, con pochi mezzi. La mamma faceva la sarta. Friedrich aveva una sorella, morta di leucemia a sedici anni, che si chiamava appunto Gerti. L’altro fratello, Kurt, considerato un genio, dalle elementari fino a tutto il liceo ha studiato in Italia dai Barnabiti... a spese di chi? Non lo diresti mai...»
«...della famiglia De Mei», la interruppe Carlo immaginando la faccia della zia.
«Ma come fai a saperlo?», gracchiò Lucia Guanzani delusa dal fallimento del suo colpo di scena.
«Lascia perdere. Non c’è tempo. Continua.»
«Comunque, ormai da anni, Kurt vive in Medio Oriente. Pare che si occupi di import-export. Ma su questo punto la vecchia è stata poco chiara, dice infatti che lo sente molto di rado.»
«Lo immaginavo. Grazie, sei stata bravissima», si complimentò Carlo.
Ancora un pezzo del mosaico, ancora una conferma...
7 gennaio 2001, Como, ore 11.
«Direttore, in segreteria mi hanno passato la stampa di una e-mail di Tonolli a suo nome.» Malaugurato il momento in cui aveva ordinato alle impiegate di vagliare la sua posta elettronica. Viani, senza una parola, strappò la strisciata dalle mani del giovane caposervizio degli Esteri, Marino Bianco. Raggiunse il suo ufficio, vi si sbarrò all’interno e iniziò a leggere. Ma quasi subito saltò sulla poltrona. Titolo e attacco erano già una mina innescata. «Biancoooo!!!»
Il ragazzo sussultò dall’urlo del direttore. Un uomo sempre tanto misurato... boh, sarà l’età, pensò con compatimento. «Sì direttore?»
«Avete tenuto una finestra in prima? C’è un deskista libero? Mi chiami il tuo redattore capo?»
«Sì sì e sì. Ma lei perché grida?»
Viani non sentiva più nulla. Vedeva già tutte le edicole della città coperte dalle locandine del suo ex asfittico giornale, vedeva il suo giornale in mano a tutti, sentiva il suo giornale mandare in tilt la rotativa...
Occhiello:
CAPODANNO DI SANGUE A BELLAGIO
Titolo:
FACCIA A FACCIA CON L’ASSASSINO
“So chi sei. Da tempo. Ma mi mancava un movente. E anche se non sono un gran lettore di romanzi gialli non è stato poi così difficile capire. I tuoi non sono stati omicidi perfetti...”
L’articolo continuava con questo tono, come un colloquio privato fra Tonolli e l’assassino. Per lo più incomprensibile al lettore, ignaro di prove e passaggi della soluzione del mistero, ma costruito di semplici metafore e piccoli agganci inanellati da una stesura sincopata e assolutamente avvincente.
Viani lo bevve in un lampo, incatenato dal crescendo emotivo dell’attesa di un finale presumibilmente supersonico. Infatti: “...ora conduco io la danza. Ho io quello che ti interessa e ti sto aspettando”.
Un gioco pericoloso, certamente. E Viani sperò per il suo amico Carlo che non dovesse durare ancora a lungo. Per quanto riguardava lui, avrebbe dovuto scomparire prima dell’uscita del giornale del giorno dopo perché la polizia italiana avrebbe sicuramente ordinato il suo fermo per occultamento di prove.

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