Il nostro prossimo è tutto ciò che vive (Gandhi)

lunedì 21 luglio 2014

Mayfair e il mistero del lago

-diciannovesima puntata-




10 gennaio 2001, Milano, ore 9,30.
Stavano facendo colazione in cucina, lui e la Tilde, quando il citofono li fece sussultare.
«Rispondi. Se è il commissario Ghezzi non sai dove sono, non mi hai ancora visto... coraggio.»
«Ma dottore, prima o poi dovrà affrontarla la polizia.»
Carlo la zittì con un gesto brusco e le passò la cornetta appoggiandovi a sua volta l’orecchio.
«Sono Viani. Tonolli c’è?»
Carlo strappò la cornetta dalle mani della Tilde: «Venga su, presto, non c’è tempo!»
Ma dovette dimenticare la sua fretta fremendo più di un quarto d’ora sul pianerottolo. Finalmente il vecchio ascensore si aprì: due uomini, uno dei quali probabilmente era Viani, ma irriconoscibile per chiunque, stavano entrando in casa con un cadavere.
La Tilde si tappò di nuovo la bocca con le mani.
«Ho dovuto aspettare il momento buono per salire. Volevo che non mi vedesse nessuno.»
Velocemente Viani raccontò i fatti di Olbia. Sembrava stanchissimo. Era vestito a metà: senza camicia né pullover, la giacca direttamente sulla maglietta da pelle. «Ho dovuto vestire lui... non aveva niente. Pietruccio gli ha dato un paio di calze e i pantaloni di una vecchia tuta da lavoro che teneva di riserva in barca.»
«Ma chi è questo qui?»
«Non lo so, non ha ancora ripreso conoscenza. Bisogna chiamare subito un medico o per noi saranno guai seri. Non abbiamo ancora detto nulla alla polizia.»
«Infatti, per ora, noi non chiameremo né un medico né la polizia, almeno finché non sappiamo chi è quest’uomo.» Carlo afferrò il telefono e digitò un numero.
«Ma come si fa? E se muore?» Viani era preoccupatissimo.
«Signorina, buongiorno, sono Tonolli. C’è il professor Benni?... Ho capito, sta operando. Mi potrebbe far chiamare quando ha finito? Ho seri problemi con Mayfair e avrei proprio bisogno che passasse da casa al più presto per visitarla, perché non ho il coraggio nemmeno di spostarla... Grazie, grazie e a presto.»
«Lei è totalmente pazzo!» Viani impallidì.
«Perché? Benni è il miglior veterinario di Milano. Mi farei curare anch’io da lui. Coraggio. Ora piazzerò sul divano questo tizio mentre lei si siede con il suo amico in cucina e la Tilde vi prepara un buon caffè. Dobbiamo decidere molte cose.»
12. Strasburgo
10 gennaio 2001, Strasburgo, ore 10.
«È per stasera. Ci troviamo alla cattedrale. Dillo a lui.»
«Lui è nervoso e non vuole più sapere niente fino al 12. Vuole la formula. Stop.»
«Diglielo lo stesso!»
«Mi sembri agitato... o forse insicuro perché sai che non ti darà copertura?»
«Vaffan... non riesci proprio a farti gli affari tuoi, vero?»
«Attento nonno: non hai l’età per fare la guerra. Sappi che sei sotto tiro ventiquattr’ore su ventiquattro, darti alla macchia ti sarebbe impossibile. Auguri!»
10 gennaio 2001, Milano, ore 10,30.
«Che c’è Tonolli, cos’è successo ancora a Mayfair? Quando l’infermiera m’ha riferito la sua chiamata ho pensato di venire direttamente dall’ospedale.» Benni entrò in casa senza perdersi in convenevoli, e si guardò intorno visibilmente preoccupato, cercando con gli occhi la sua piccola paziente. Poi la vide sfasciata, venirgli incontro con passo claudicante ma più che sicuro e il codino monco guizzante di benvenuto.
«Be’? Che senso ha tutto questo?» Solo a quel punto Benni si accorse dell’eterogeneità dei personaggi presenti nel salotto del giornalista, e di quel corpo esanime abbandonato sul divano.
«Mi dispiace averla ingannata, d’altra parte non avevo scelta. Devo assolutamente capire chi è quest’uomo. Non posso chiamare un medico per umani e ho il tempo contato.»
Benni non si scompose, sembrava quasi divertito. Tutto sommato il fatto di essere un incosciente faceva parte del suo personaggio.
«Raccontatemi tutto: dove l’avete trovato, se ha detto qualcosa, quali reazioni ha avuto finora.»
Mentre Carlo parlava, lui iniziò a esaminare il corpo dell’uomo.
«Capito. Preparate la vasca piena d’acqua bollente. Chi di voi può andare subito in farmacia? Lei, signora? Benissimo: oltre a quello che prescrivo nella ricetta, si faccia dare una scatola di siringhe da 10 cc e cinque confezioni di acqua fisiologica per fleboclisi.»
Dopo un quarto d’ora d’immersione in acqua bollente, l’uomo era già disteso nel letto di Carlo, nudo e con una flebo attaccata al braccio destro. Attorno a lui, come al capezzale del caro estinto, tutti i nostri. Carlo proteso in prima fila con Mayfair sulle ginocchia, in attesa del primo afflato di vita dello sconosciuto.
«Dovrebbe riprendere conoscenza nel giro di qualche ora», sussurrò Benni.
«Speriamo prima. Io dovrei già essere a Strasburgo.»
Il campanello della porta cicalò stridulo.
«Siamo fregati... è sicuramente la polizia.»
Carlo si alzò di scatto. Tutti gli occhi su di lui. Avevano deciso di non rispondere al telefono e il commissario Ghezzi, in un’ora, aveva già chiamato tre volte imprecando contro la segreteria telefonica.
«Vai tu, Tilde.»
Carlo si coprì la fronte con la mano. Era esausto. Ma la sorpresa di lei, Bamboo, bellissima, disegnata in controluce sulla soglia della camera, lo rianimò di colpo.
«Oh, chérie! Toi tu es bien...»
Quella voce roca gli si stava avvicinando, come in un sogno. Quegli occhi neri come la notte e brillanti d’amore (oh sì, era indubbiamente amore!) si stavano pericolosamente infilando nei suoi, con desiderio.
Nessuno fiatava, tantomeno Carlo che subito se la ritrovò fra le braccia. E allora, imprevedibilmente (soprattutto per se stesso), cercò la sua bocca con la bocca. La baciò a lungo, con un trasporto che gli era sconosciuto e contrario alla sua volontà, davanti a tutti, con una mano sulla nuca di lei, le dita attorcigliate nei suoi capelli.
La platea esterrefatta avrebbe volentieri applaudito, quando Carlo si staccò dalla ragazza, allontanandola quasi brutalmente per riprendere possesso di sé (a fatica, lo ammise, ma non voleva quella donna a nessun costo).
«Ma cosa stai facendo? Che ci fai qui?»
Quasi stentava a ricordare dove si trovasse. Era completamente in panne. Mille sensazioni gli martellavano il cuore e il cervello e... non era soltanto attrazione fisica, no di certo. Era qualcosa di violento, di mai provato e che non avrebbe voluto provare mai più.
«Oh, mon Dieu, excuse moi, s’il te plaît... j’avais peur pour toi. Ti ho sentito così agitato... ecco io pensavo che tu, peut-être, avessi bisogno di me.»
«Io non ho bisogno di nessuno... e adesso perché piangi, porcogiuda?»
Doveva calmarsi. Assolutamente. Era villano e arrogante.
Quella pazza l’aveva baciato, e in che modo...
La sua bocca sapeva di frutta...
La Tilde, Benni, Viani e persino Pietruccio si guardarono a disagio.
«J’ne sais pas...»
Lui l’aveva baciata, e in che modo... La sua bocca sapeva di muschio...
«Scusate, questa è Bamboo Li Mac Neely, un’amica... e adesso va’ a lavarti la faccia.»
Carlo le voltò le spalle e, quando il silenzio ripiombò nella stanza, tutti poterono udire distintamente un flebile rantolo giungere dal letto.
«Where I am? No...no... I don’t know... No...no...»
Benni raggiunse il capezzale con un salto.
«È inglese. Le dice nulla, Tonolli?» Il medico piazzò sotto il naso dell’uomo un tampone maleodorante e iniziò a schiaffeggiarlo piano ma ripetutamente.
Carlo gridava: «Hey you! Who are you? What’s your name? Can you listen me? Do you understand something?»
L’uomo spalancò gli occhi e, in perfetto italiano, disse: «Chi siete? Dove sono?»
«Non si ricorda di me? L’ho trovata prigioniero in un ricovero attrezzi di un pascolo nell’entroterra sardo.» Viani parlava piano e quasi sottovoce per non spaventarlo.
«Non ricordo nulla... qualcuno mi ha stordito sotto casa e poi mi ha rubato la valigetta.»
«Quale valigetta? Lei come si chiama?» Carlo, a differenza di Viani, continuava a gridare.
«Tonolli vuole calmarsi? Chi mai avrebbe detto che lei è tanto inclemente! Prima con quella povera ragazza e ora con quest’uomo. Non vede che è ancora sotto choc? Probabilmente è stato drogato per giorni e giorni. Gli dia almeno il tempo di capire chi è e dov’è.»
La voce perentoria di Benni tacitò il giornalista. Ma Carlo non dovette attendere molto.
«Mi chiamo Michael J. Ryer e sono un ricercatore farmaceutico. In quella valigetta... in quella valigetta c’era una formula, una formula importante... sapete dov’è?»
«È questa?» Carlo mostrò il dossier a Ryer.
L’uomo si svegliò del tutto, prese fra le mani il suo lavoro e sembrò carezzarlo con gli occhi. «Oh yes! Sì, è questa.»
«Bene», disse Carlo rivolgendosi a Viani «è arrivato il momento di chiamare il nostro amico, il commissario Ghezzi.»
10 gennaio 2001, Klosters, ore 12.
«Mi perdoni, signore, ma essere assolutamente incredibile trovare un’anziana donna sopra quella montagna impervia.» Attraverso una grassa, zelante interprete con un forte accento tedesco, il commissario di polizia locale non voleva credere al povero Guidone.
«Per favore, gli dica che soltanto quando verificherà potrà darmi del pazzo. Credetemi, per carità, la contessa Guanzani potrebbe essere morta.»
«Il commissario dice che lui dare elicottero ma se questo essere scherzo all’italiana tu finire diritto in galera.»
Su quel “all’italiana” il Guidone avrebbe volentieri discusso pesantemente con quei due crucchi, ma preferì evitare per amore della sua matta signora.
L’interprete volle far parte della squadra e si era piazzata dietro, con il commissario e i suoi due agenti. Guidone, terrorizzato dal mezzo, con gli occhi chiusi e già in preda a un mal d’aria violento, aveva preso posto di fianco al pilota. Per fortuna la visibilità era ottima. In breve tempo raggiunsero il culmine della vetta dove apparve l’ex baracca militare, quasi totalmente immersa nella neve.
Atterrarono. Guidone dimenticò la paura di volare e la sua nausea: il rumore delle pale e del motore aveva fatto uscire dal rifugio Lucia Guanzani. La donna non gli volle dare alcuna soddisfazione, ma soffocò la gioia di vederlo vivo. Gli allungò la manina gelata e inanellata e disse: «Già qui, caro?»

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