Il nostro prossimo è tutto ciò che vive (Gandhi)

martedì 8 luglio 2014

Mayfair e il mistero del lago

-quattordicesima puntata-



Si lasciarono dopo un pranzo frugale servito direttamente in camera. Carlo pregò Bamboo di non lasciare l’albergo fino al tardo pomeriggio, quando lui stesso sarebbe passato a prenderla per l’appuntamento con il commissario Montani. La ragazza non avrebbe sofferto la clausura forzata: era terribilmente stanca e in più s’era portata un testo d’arte orientale che avrebbe dovuto consultare per un problema d’ufficio rimasto in sospeso. Per quanto riguardava se stesso, avendo ormai chiara l’identità fisica di Mister X, Carlo poteva quasi rilassarsi e decise di concedersi una passeggiata di riflessione e di sintesi sul lungolago della città. Così indossò il loden, vi infilò Mayfair e uscì.
Si era alzato un vento leggero ma pungente e Carlo lo avvertì ancora di più nei pressi del lago. Tuttavia non ne era infastidito, al contrario. Gli pareva che addirittura potesse aiutare i suoi pensieri. Riparò meglio la cagnolina dentro al cappotto e iniziò a camminare con passi lunghi e lenti, ritmati dalle ronfatine di Mayfair.
La fisionomia dell’assassino ora poteva accompagnare il riassunto di tutta la vicenda, dall’inizio, inserendosi con facilità nelle pieghe degli avvenimenti e giustificarli con la semplicità degna del romanzo giallo più ordinario. Conoscere il volto dell’avversario, comunque, non lo aiutava né a capire il movente di tutte quelle morti, né a prevederne le prossime mosse. Addirittura, ai fini della soluzione del mistero, fino all’apertura della cassetta di sicurezza non gli serviva proprio a nulla, se non a riconoscerlo, e quindi soltanto a scopo difensivo. Sapeva di non doversi abbandonare all’entusiasmo perché avrebbe rischiato mosse avventate e irrazionali. D’ora in poi non avrebbe dovuto perdere il sangue freddo nemmeno per un attimo, e si ripromise ancora una volta di tenere per sé le sue scoperte perché soltanto in questo modo avrebbe potuto stupire e prevenire Mister X e, nello stesso tempo, difendere le persone che lo affiancavano: sua zia, Viani e Bamboo.
Carlo ormai sapeva con assoluta certezza che, per nessuna ragione al mondo, l’assassino avrebbe potuto uscire allo scoperto. Era proprio questo il punto debole del mistero legato agli omicidi di Bellagio, l’errore fatale di Mister X. D’altro canto, parzialmente camuffato come al Pont Royal, avrebbe potuto seguire lui e Bamboo a Ginevra.
Sentì improvvisamente freddo e rientrò in albergo.
Trovò Bamboo con il cappotto: «Sei in ritardo, sono già le cinque. Il commissario Montani ha mandato un’auto che ci sta aspettando davanti all’uscita sul retro.»
Con la testa Carlo era molto lontano, era già alla mattina dopo.
Bamboo non aveva paura. Varcò con decisione l’ingresso d’acciaio e cristallo della banca alle 9 precise. Sapeva di essere sotto il diretto controllo di Carlo (che da una buona mezz’ora stava in osservazione del viavai di clienti dall’interno di un camper posteggiato davanti all’edificio) e dei vari “Serpico” che sostituivano parte del personale dell’Istituto o che si fingevano clienti.
Alla reception le indicarono l’ufficio, al secondo piano, dove avrebbe potuto incontrare il funzionario incaricato del caveau.
«Monsieur Plombard? Mi chiamo Mac Neely e dovrei aprire la mia cassetta di sicurezza.»
L’uomo alto e biondo guardò la ricevuta e, con un cenno di meraviglia negli occhi inespressivi, le precisò: «Il suo nome non è necessario, mademoiselle. Questa è una cassetta personale e anonima.»
Aprì quindi una piccola cassaforte a combinazione, ne estrasse la chiave pendant della “numero 7” e pregò la ragazza di seguirlo. Nei sotterranei Bamboo tremò. E se la copia della chiave non avesse funzionato? E se l’uomo si fosse accorto che si trattava di una copia e non dell’originale? E se invece tutto fosse andato bene ma Plombard, dopo averle consegnato la cassetta, l’avesse lasciata sola? Tutto questo Carlo e Montani non l’avevano previsto. Lei non avrebbe avuto scampo. Sicuramente Mister X stava seguendo ogni sua mossa, magari travestito da fattorino, o da inserviente o da qualunque altra cosa...
«Prego mademoiselle, la chiave.»
Gliela passò con la massima naturalezza. Lui scomparve dietro una porta blindata e ricomparve dopo pochi minuti con la cassetta fra le mani. Nella prima fase nessun intoppo. Bamboo sospirò.
«S’accomodi in questa stanza e faccia pure con calma. Io l’attendo nel salottino attiguo.»
Anche la seconda era andata. Il cuore della ragazza recuperò il ritmo normale.
«Farò in fretta, grazie.»
Gli sorrise e chiuse a chiave la porta. Evviva il regolamento della “Banque Nationale Suisse”!
Le dita lunghe di Bamboo vibrarono quando il coperchio a scatto della cassetta si alzò meccanicamente, lasciando intravedere una grande busta gialla. Bamboo la aprì e vide un plico di carta da computer e tre dischetti. Una relazione senza titolo, lunga, fittissima, con pause di formule chimiche, completamente scritta in inglese.
Non perse altro tempo. Richiuse il bustone, lo infilò nella valigetta-cassaforte che le aveva fornito il commissario Montani, abbandonò la cassetta vuota sul tavolo ed entrò nel salottino a fianco. Plombard si accertò che la cassetta fosse vuota e ordinò a un impiegato di rimetterla a posto. Le fece siglare una ricevuta che a sua volta firmò e l’accompagnò in ascensore fino all’atrio principale. Bamboo non ebbe il tempo di fare un passo che fu investita, come da copione, da una giovane coppia.
«Oh cara, ma chi si rivede! Che ci fai a Ginevra?» I due ragazzi la presero sottobraccio e la scortarono schiamazzando fin dentro al camper che partì non appena le portiere si richiusero.
Nessuno di loro, tuttavia, si accorse che una Saab 9000 nera con targa inglese e vetri fumé si era staccata silenziosamente e nello stesso momento dal marciapiede opposto.

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