Il nostro prossimo è tutto ciò che vive (Gandhi)

lunedì 4 agosto 2014

Mayfair e il mistero del lago

-venticinquesima puntata-



15. La trappola
13 gennaio 2001, Ginevra, ore 5.
«Forza, svegliati.» Due energumeni palestrati buttarono il vecchio sul pavimento di fianco al divano dov’era disteso, come un sacco di patate. Manfredi De Mei aprì l’occhio sinistro, unica parte del suo viso ancora integra. Non sembrava più lui: scalzo, i capelli scompigliati, i lineamenti tumefatti, la camicia fuori dai pantaloni, imbrattata di sangue. Non aveva nemmeno la forza di rimettersi in piedi.
«Frank ha deciso che te ne devi andare. Ci penserà la polizia a farti finire la vita come meriti. Lavati la faccia. Questa è una camicia pulita. Hai cinque minuti di tempo.»
«Che significa? Dove devo andare?»
«Dove ti pare. Tanto sei ricercato in tutta Europa, ti troveranno presto. E stai attento a quello che dirai... in galera si muore più facilmente che fuori, lo sai.»
Dopo cinque minuti esatti il vecchio veniva accompagnato dagli stessi due tipi al cancello della villa.
«E la mia Saab?»
La prima risposta fu una risata idiota.
«Sarà già impacchettata dai demolitori ginevrini. Buon proseguimento, caro.» E con uno spintone De Mei si ritrovò sul lungolago, nel buio di quella gelida mattina.
Erano le sei, quando Bamboo, Ghezzi e Montani suonarono al cancelletto del giardino di Jerôme.
«Ecco, amica mia. Sono venuti a prenderti.» Il fiorista aprì la porta di casa e Mayfair, come se capisse, lasciò la sua cesta e lo seguì.
La sua codina si muoveva piano e i suoi occhi fendevano il buio del giardino alla ricerca di lui. Poi sentì la voce di Bamboo chiamarla con dolcezza, ma lui non c’era. Annusò l’aria e ancora di lui nulla. Allora, con quella sua andatura buffa, superò tutti e si avviò verso il cancelletto. Forse lui stava arrivando. Ma Bamboo fu più veloce e l’afferrò stringendola al petto. «Oh no, ma petite. Carlo n’est pas la. Mais il t’attend. Regard ton pullover.» L’avvolse nel golf di cachemire di Carlo e lei si calmò. Aveva capito. Doveva aspettare ancora.
La voce di Ghezzi spezzò quell’attimo di emozione fortissima. «Monsieur Jerôme, sono un commissario della polizia italiana. Potrebbe accompagnarci subito alla villa dove ha visto l’uomo che ha rapito il cane?»
«Ma certo. Subito, subito. Prendo il mio cappotto. E Mayfair?»
«La cagnolina verrà con me a Strasburgo, Jerôme. Una persona la sta aspettando e sta soffrendo molto. Cosa possiamo fare per ringraziarla?» rispose Bamboo.
«Niente. Voglio soltanto che Mayfair ritrovi il suo amico. Si chiama Carlo, vero?»
«Scusate, ma il tempo stringe. Non potreste parlarne in un altro momento?» Ghezzi friggeva.
Allora Jerôme si avvicinò a Bamboo, accarezzò il cane fra le sue braccia e le disse piano: «Buona fortuna, mignon. Sei stata fortunata.»
Poi, più triste, a Bamboo: «Ne parleremo in un altro momento, mademoiselle.» Sapeva che non avrebbe mai più rivisto Mayfair.
Bamboo uscì quasi di corsa e la cagnolina, con il muso all’indietro, guardò fisso Jerôme che la salutava con la mano finché la porta si richiuse e lo nascose alla sua vista.
De Mei aveva preso la via del centro per raggiungere la stazione. Fortunatamente, in una tasca interna e segreta dei pantaloni aveva nascosto dei dollari e dei documenti falsi. Forse sarebbe riuscito a raggiungere senza problemi Klosters. Era l’unico posto al mondo dove avrebbe potuto rifugiarsi. Stava per lasciare il lungolago, quando si sentì chiamare dall’edicolante sotto il suo ex ufficio. «Monsieur, voulez-vous les magazins italiens?»
L’uomo stava sventolando copie di quotidiani italiani, fra cui l’ultimo numero de “La Tribuna del Lario”.
Per non destare sospetti e tentando di nascondere al meglio il viso con una mano, gli si avvicinò e finse di leggere i titoli delle prime pagine. Ma l’occhio gli cadde subito su una finestra del giornale comasco: “Ritorna Mayfair per svelare i retroscena della corruzione nella ricerca farmacologica. A pag. 12”.
L’articolo era evidentemente un altro messaggio per lui.
Acquistò il quotidiano e dopo pochi minuti era seduto nel bar della stazione. Ordinò del caffé e una brioche e iniziò avidamente a leggere.
Il pezzo richiamava una serie di fatti di cronaca legati a fughe di notizie, delazioni, ricatti e vere e proprie denunce di furti di scoperte. Ricercatori o semplici impiegati di aziende di settore letteralmente scomparsi con ‘bottini’ pagati salatamente dalla concorrenza.
De Mei convenne che quello stronzo scriveva davvero bene. Sapeva coinvolgere il lettore anche su un argomento tanto vago quanto poco popolare. Alla fine dell’articolo, infatti, apriva un dibattito con i cittadini richiedendo il parere personale o addirittura le segnalazioni di fatti di corruzione attraverso fax o e-mail in redazione, anche anonimi. Tuttavia soltanto De Mei avrebbe potuto leggere fra queste ultime righe l’invito sottinteso a riaprire la trattativa interrotta a Strasburgo. Gli era tutto chiaro: il cane sarebbe stato il prezzo per contattare Ryer e “acquistargli” la formula completa. Forse non tutto era perduto. Tornò di corsa sui suoi passi, riprese il lungolago e arrivò alla villa in un quarto d’ora. Questa volta Frank avrebbe dovuto ascoltarlo, l’articolo ne era la prova. Ma stava per attraversare la strada, trenta metri prima dell’ingresso, quando si accorse che il grande cancello a volute di ferro battuto era aperto e ostruito da due auto della polizia.

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