Il nostro prossimo è tutto ciò che vive (Gandhi)

venerdì 8 agosto 2014

Mayfair e il mistero del lago

-ultima puntata-




Epilogo
15 gennaio 2001, Bellagio, ore 18.
Si erano riuniti tutti, a “Villa Guanzani”, nel “Salone del Gazebo”, come l’ultima sera dell’anno. Erano passate solo due settimane dagli omicidi di quella notte, ma in realtà sembrava essere trascorso un secolo. Carlo, sdraiato sul divano, sorseggiava un whisky fumando il solito mezzo toscano. Mayfair dormiva, come sempre, sul suo petto. Donna Lucia li guardava in silenzio dalla poltrona di crétonne. Viani, in piedi, fissava attraverso la vetrata il gazebo illuminato.
Bamboo e Guidone stavano preparando tè e pasticcini, sul tavolino centrale.
Nessuno parlò finché non si sentì suonare il campanello e Guidone andò ad aprire la porta al commissario Ghezzi.
«Buonasera a tutti, signori.»
«È venuto ad arrestarmi commissario?»
«Non dica sciocchezze, Tonolli. Questa volta le è andata bene. Sarei linciato pubblicamente se incarcerassi chi ci ha permesso di incastrare una delle organizzazioni mafiose più pericolose e attive del secolo.»
«Di quale secolo? Quello vecchio o quello nuovo?»
«La finisca di scherzare, insomma! Non ne ho voglia.»
«Gradisce un po’ di tè, commissario?»
La voce musicale di Bamboo spezzò con garbo l’atmosfera tesa fra i due.
«Grazie, mademoiselle Mac Neely. Allora, Tonolli, mi vuol mettere al corrente, infine, della sua ricostruzione dei fatti?» Ghezzi si accomodò su una sedia, proprio di fronte a Carlo, e si riempì la bocca di dolcetti.
«Prima dovrebbe essere lei a dirmi come è andato il “sacco” a De Mei.»
«Huf. Secondo i canoni più banali del repertorio poliziesco, come d’altra parte avrà letto sui giornali. Ma se proprio vuole la soddisfazione di farselo raccontare da me, un agente s’è sostituito a Ryer e quando De Mei ha chiuso la porta della camera dietro di sé, era già fatta. Agenti in borghese, sono entrati e l’hanno arrestato.»
«E la “Famiglia” Nicastro?»
«Quello è stato il colpo più importante. Per fortuna il fiorista si è prestato da testimone, perché quando siamo arrivati noi la Saab era sparita e di De Mei non c’era traccia. Con la testimonianza di Jerôme, abbiamo potuto procedere subito con la perquisizione della villa e non potete immaginare cosa vi abbiamo trovato. Non ultimo, come già certamente saprete, il famoso disegno del Cellini, rinchiuso in un armadio blindato in cantina. A proposito, non so più nulla di Jerôme. Spero non si faccia beccare... La mafia prima o poi si vendica.»
Carlo spostò Mayfair, si alzò, si avvicinò a Ghezzi e lo accompagnò alla vetrata.
«Sapeva commissario che mia zia possiede un’enorme serra ottocentesca? Guardi laggiù, proprio in fondo a destra. La vede? È meravigliosa, vero? Purtroppo nessun giardiniere aveva tanto tempo da dedicarle e così eravamo incerti se farne una grande veranda esterna, anche se zia Lucia l’avrebbe da sempre desiderata piena di fiori. Il caso ha voluto farci incontrare, pochi giorni fa, la persona giusta: è un italo-francese, si chiama Fortunato e l’abbiamo assunto subito. Ora vive qui, in una casetta vicino alla serra. Non trova che i bouquet che adornano questa sala siano insolitamente poetici?»
«Lei, Tonolli, è un uomo davvero unico. Nel bene e nel male...»
«Per quanto riguarda lei, commissario, soprattutto nel bene mi pare, dal momento che l’arresto di Nicastro e compagni è stato attribuito al merito del suo gruppo, non certo al mio cane. Mi sembra di averle offerto una buona opportunità per finire in bellezza la carriera.»
«Ma la smetta, una volta per tutte. Adesso mi vorrebbe convincere che dovrei ringraziarla?»
«No. Non è necessario. Per essere completamente soddisfatto mi basta metterla al corrente dei fatti che lei, evidentemente, non ha ancora capito.»
«Carlo, adesso sei davvero odioso. Stai esagerando. Vuoi passare per cortesia alla tua spiegazione?»
Lucia Guanzani si sentì in dovere di intervenire, se pur con dolcezza, per ovviare alla rabbia che stava montando purpurea sulle gote di Ghezzi. «Allora: Manfredi De Mei, gemello di Barnaba, dall’adolescenza è sempre vissuto a Klosters, nell’ombra, ospite della famiglia Mullausen. Vi era stato spedito dalla famiglia d’origine che ne aveva finto la morte in seguito all’omicidio per sua mano del suo istitutore, Papetti. Per la cronaca, i Mullausen, erano molto legati alla famiglia De Mei perché il padre dei gemelli era in un certo senso datore di lavoro del loro capofamiglia e dei figli maschi, essendo proprietario di alcuni impianti sportivi a Klosters. Di più: Mullausen doveva molto al vecchio De Mei, perché da questi era stato salvato da un rovescio di fortune che l’aveva ridotto sul lastrico. Manfredi, però, non si dà pace per aver perso l’impero di famiglia, finché non riesce a rintrufolarsi di nascosto nella vita del fratello malato, al quale si sostituisce facilmente per la loro impressionante somiglianza. È con queste sostituzioni che riesce a venire a conoscenza dello studio di Ryer. Offre così la formula del nuovo farmaco a un’azienda straniera concorrente: la fa rubare dai mafiosi che la depositano nella cassetta numero 7 della Banque Nationale Suisse e che rapiscono il chimico, segregandolo nel rifugio in Sardegna. Nel frattempo, il Valenti (ladro d’arte molto noto alla malavita internazionale), conosciuto da Manfredi nelle vesti di Barnaba (ma al quale, ovviamente deve aver svelato molto presto la sua vera identità), ruba e deposita il Cellini in una seconda cassetta nel caveau dell’Hotel Pont Royal e lascia la chiave ad Antoine, ignaro intermediario. Gli uomini di Nicastro ritirano il Cellini come garanzia di pagamento del lavoro e lasciano al suo posto la ricevuta della “numero 7” che contiene la formula e la parola d’ordine per recuperare Ryer.»
«Ma scusi, Tonolli, visto che gli venivano tanto bene le sostituzioni con il fratello, non sarebbe stato più semplice per Manfredi passare la formula direttamente ai concorrenti, magari inscenando una vera e propria cessione del brevetto?»
«Eh no. Troppo semplice. Assurdo per un’azienda in crisi. E poi c’era Kirstin di mezzo. Con una giovane moglie le sostituzioni non avrebbero potuto essere troppo frequenti. Proprio la sera del delitto di Valenti, Kirstin seduta vicino a me, su questo divano, intravede dalla vetrata Barnaba de Mei (ma in realtà era Manfredi) correre verso il gazebo. Non sa cosa pensare e, per questo, quando viene scoperto il cadavere dell’amante è terrorizzata. La notte della sua morte e della morte di De Mei, prima di venire in camera mia riesce a parlare con il marito che le confessa la storia antica del gemello. Ma lo stato di salute di De Mei e l’impossibilità di provare in breve tempo la verità, spingono la donna a tentare la fuga. Prima viene da me per verificare che anch’io nutra seri dubbi sulla colpevolezza del marito e, molto probabilmente, decide fra sé di restare in contatto con me dal luogo segreto dove intende rifugiarsi. Torna quindi in camera e, su suggerimento di Barnaba, telefona alla Pinin per farsi mandare al più presto a nome mio l’album di fotografie della Prima Comunione dei De Mei. Nelle sue intenzioni, sarebbe stato un modo per mettermi sulla pista di una ricerca più approfondita intorno alla famiglia De Mei. Almeno, lo sperava. Ma viene fermata dalla puntura letale infertagli da Gerti, complice di  Manfredi.»
«E avrebbe pure potuto andare tutto  liscio se non si fosse imbattuto in una cimice come lei.»
«Infatti l’errore è stato quello di scegliere la mia camera e la mia sacca da tennis per il transito della chiave, forse pensando che fosse la meno in vista dal corridoio della zona notte della villa. In camera mia ci deve essere stato un notevole via vai quella notte. Anche il mio cane, impossibilitato a camminare o a saltare ma non a ringhiare e abbaiare, deve essere stato spostato, io credo, almeno una volta per poter rovistare tutto con calma. Altrimenti come avrebbe saputo riconoscere la “Stanza dei Persiani”? La spiegazione del morso alla mano di De Mei è palese: l’assassino è passato da camera mia nella ricerca della famosa chiave, così come ci è passato Gerti-Friedrich, suo complice. Ma questo ce lo potrebbe spiegare meglio Mayfair, se solo potesse parlare, dal momento che mi ha fornito la prova di aver incontrato “Faccia di teschio”, conservando un battuffolo di cotone idrofilo imbevuto di alcol evidentemente perduto durante l’esplorazione.»
«E a Parigi? Come poteva sapere De Mei che il barman del Pont Royal era il depositario della ricevuta della cassetta numero 7?»
«Molto semplice, Ghezzi. Antoine aveva già fatto da ignaro tramite del passaggio del Cellini a un uomo di Nicastro. Infatti, assieme al disegno, avete trovato la copia di una ricevuta dei caveau del Pont Royal, non è vero? E se De Mei non ha estorto il nome di Antoine a Valenti prima di ucciderlo, sicuramente ne era venuto al corrente direttamente da Nicastro. De Mei ha capito in seguito di essere stato bypassato un’altra volta da me, nella persona di Bamboo. Quando fingeva di dormicchiare al bar del Pont Royal stava semplicemente tenendo d’occhio il ragazzo per poterlo seguire fino a casa. Secondo me, in quel momento, non ha assolutamente afferrato che la ragazza americana gli stava soffiando sotto il naso la sua preziosa ricevuta.»
«Be’, possiamo essere effettivamente tutti soddisfatti. Anche lei, Tonolli, solo per il fatto che, alla mia faccia, ha ridato vita al giornale di Viani. E che vita! Mi risulta che vada a ruba, non è vero direttore?»
«È così, commissario. Proprio ieri l’editore mi ha chiamato per confermarmi un nuovo budget in netta ricrescita.»
«E che ne sarà dell’azienda De Mei?»
«Non esistendo eredi di Barnaba, il tribunale ne ha concesso la vendita a un’industria privata inglese...» Carlo fece una pausa per riaccendersi il toscano.
«...e Ryer, dopo la transazione, ne assumerà la direzione tecnica per far sì che i proventi vengano totalmente devoluti alla sperimentazione del suo nuovo vaccino contro l’HIV. In questo modo si prevede che il farmaco possa essere messo in vendita entro due anni.»
«E lei, Tonolli, che farà? So che dal suo ex giornale la stanno cercando disperatamente.»
Il giornalista si girò verso Viani con uno sguardo ironico.
«Ho scelto di divertirmi, commissario.»
Viani sorrise, e Ghezzi si alzò.
«Meno male che sto andando in pensione, allora. Non vorrei proprio ritrovarmela ancora fra i piedi. Contessa Guanzani, grazie per il tè e i deliziosi pasticcini. Buonasera a tutti.»
«A proposito commissario, dimenticavo: Mayfair non è della mia stessa opinione sui fatti che le ho appena esposto. Il mio cane, infatti, è convinto che il nostro assassino non sia Manfredi, bensì Barnaba De Mei. Infatti sulla mano del cadavere trovato in camera di Barnaba, appariva chiaramente il segno del morso cui forse voleva riferirsi il Valenti in punto di morte e che nessuno aveva veduto prima. Ve ne eravate accorti? Controlli. In più, mia zia mi ha riferito che a Klosters la Bea sembrava non aver riconosciuto Manfredi, il quale si è affrettato a farla fuori. Mayfair è convinta che Barnaba sia riuscito nel tempo a invertire diabolicamente le parti fra lui e il fratello. Se questa ipotesi le sembra da valutare, non perda “La Tribuna del Lario” di domattina. Vi troverà in dettaglio le riflessioni che portano a tale conclusione, nell’ultimo pezzo di Mayfair. Un altro piccolo scoop che questa volta desidero venga attribuito com’è giusto al mio cane, che in tutta la vicenda s’è dato un gran daffare, non trova?»
Ghezzi non proferì parola per qualche secondo. Poi, quasi sottovoce borbottò: «Lei è più che odioso.» Raggiunse la porta e se ne andò, sperando che fosse per sempre.
Nessuno riuscì a non ridere. «Ha ragione», concluse Donna Lucia guardando il nipote.
Bamboo si alzò. «Mes amis, je dois partir. Il mio aereo decolla da Malpensa alle 20,30... je vais prendre mon bagage
«Carlo, vai a chiamare Guidone. Digli di preparare la Mercedes. Ma te ne devi proprio andare, tesoro?» Lucia Guanzani era sinceramente dispiaciuta. Bamboo sarebbe stata perfetta per quell’orso di suo nipote.
«Oh oui, madame. Devo riprendere il mio lavoro e la mia vita... vado a salutare Jerôme.»
«Aspetta. Ti accompagno.»
Carlo e Bamboo se ne andarono insieme, muti, seguiti al piede da Mayfair. Soltanto mentre la ragazza stava salendo in macchina, lui le baciò la mano.
«Allora, quando ti rivedrò? Abbiamo un po’ di cose in sospeso», le disse.
«Quando vorrai, mon amour
«E Pierre?»
«Quale Pierre?», rispose lei strizzandogli un occhio.
Lui le sorrise, con aria d’intesa.
Bamboo chiuse la portiera e l’auto imboccò lentamente il viale.
E l’uomo alto, con il piccolissimo cane fra le Church’s, la seguì con lo sguardo finché scomparve in fondo al parco.
FINE

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