Il nostro prossimo è tutto ciò che vive (Gandhi)

giovedì 7 maggio 2015

Un topo per caso




"Un topo per caso", di Antonella Tomaselli (storia vera di Antonella Tomaselli, da Confidenze tra amiche, numero 19, 2015)


Era un caldo pomeriggio estivo. Il sole, fuori, lanciava lingue di fuoco su tutto ciò che incontrava, ma la casa, con le persiane accostate e i vetri aperti ad arte per creare movimento d’aria, era fresca. Due dei nostri quattro cani erano spaparanzati sul pavimento. Gli altri due sonnecchiavano all’esterno, in un angolino ventilato e in ombra. Io dipingevo una tazza di ceramica. Gabriele, mio figlio, guardava fotografie al computer con la sua ragazza. Gigi, mio marito, stava scegliendo dei dischi in vinile. La musica riempì la stanza intorno a noi.
Un pomeriggio tranquillo.
«Volete qualcosa da bere?» chiese mio marito. Alla risposta affermativa dei ragazzi, scese in taverna per prendere delle lattine di aranciata.
La quiete che ci avvolgeva fu stracciata da un urlo e dal rumore di qualcosa che cadeva. Io e i ragazzi ci guardammo con gli occhi sbarrati.
Ancora non si era cancellato lo sgomento dalle nostre facce e già ci precipitavamo in taverna gridando: «Cosa è successo?». Gigi, era lì, con una lattina di aranciata nelle mani. Due o tre altre erano cadute a terra. «Ho visto un’ombra» ci disse.
«Come un’ombra? Dove? Di chi?» incalzammo noi.
«Non spaventatevi, ma credo che ci sia un topo. L’ho intravisto con la coda dell’occhio. Poco più di un’ombra. Ma sono sicuro».
La nostra casa confina con il bosco e qualche volta ci era capitato di vedere un topolino di campagna sul limitare del giardino. Ma nessun sorcino si era mai avvicinato. Amiamo gli animali. Proprio tutti. Ma topi e affini preferiamo che vivano lontano da noi. Mio marito continuò: «Dobbiamo fare qualcosa». Lui era sempre nel bel mezzo della taverna, circondato dalle lattine. Gabriele gli era accanto.
Io e Marta, alla parola “topo” avevamo guadagnato- strillando- una postazione sicura, in piedi, sopra a un panca e, da lì, scherzavamo che ci voleva il pifferaio magico. O almeno un gatto. Due dei nostri cani, Luna e Mostrilla, di tanto in tanto, in cima alle scale del piano superiore, lanciavano qualche abbaio. Gli altri due, Mare e Blu, ci avevano raggiunti.
Appena li vidi urlai: «Fermate i cani!» I due uomini li presero in braccio e me li portarono. Mare del tutto a proprio agio, si accucciò ai miei piedi. Blu si sedette, si diede una grattatina e poi si limitò a guardare chi prendeva la parola. La panca era ormai piuttosto affollata.
«Se ci fosse davvero un topo» sentenziai, «i cani lo potrebbero attaccare. Sono Yorkshire Terrier! I loro antenati erano feroci sterminatori proprio di topi. Il “ratting”, ce l’hanno nel DNA».
«Allora non c’è nessun topo. Impossibile che se ne stiano così tranquilli» disse mio figlio. Marta propose di provare con Luna e Mostrilla, più giovani e più vispe. Giusto per vedere se segnalavano presenze estranee. Gigi e Gabriele dovevano stare all’erta ed eventualmente trattenerle con prontezza, se avessero manifestato l’istinto di avventarsi sull’ospite indesiderato. Mostrilla e Luna arrivarono curiose, ma non diedero segni di agitazione. Non annusarono intorno interessate o allarmate. Vollero giusto salire sulla panca. Anche loro. Un gioco nuovo. Mio marito intanto spostava – con cautela- alcuni mobili. Del topo nessuna traccia. Certo era strano che degli yorkini – cacciatori di ratti per antonomasia - non lo avvertissero. Con una punta di isteria dissi: «Dobbiamo prendere delle trappole, e del veleno» Ma aggiunsi subito: «No, il veleno non si può. Troppo pericoloso per i cani. E poi farebbe fare una brutta fine al topo, poveretto. Non voglio che soffra». Decidemmo di andare a comprare le trappole. Io e Marta scendemmo dalla panca e corremmo su per le scale, seguite dai cani, di corsa pure loro. Mio marito e Gabriele -fingendo - ci gridarono: «Il topo, il topo!», e noi arrivammo al piano superiore volando e urlando. Accompagnate dalle loro risate.
Andammo nella ferramenta più vicina a visionare trappole. Tutte cruente. Poi ne trovammo una che faceva al caso nostro: catturava, ma non feriva, né uccideva. Tornati a casa cercammo in internet notizie sui topi. Purtroppo ottenemmo solo conferme di ciò che già sapevamo. Primo: se vedi un topo, quasi sicuramente ce ne sono anche altri. Sono animali sociali. Secondo: possono trasmettere molte malattie. Terzo: si riproducono a una velocità pazzesca. E via di questo passo.
La sera allestimmo la trappola. Avevamo letto che i topi non sono particolarmente attratti dal formaggio, ma non riuscimmo a sovvertire ciò che ci avevano insegnato i cartoni animati della nostra infanzia, e posizionammo nella trappola dei pezzetti di parmigiano. Mio marito poi la collocò in taverna. Io e Blu lo accompagnammo. Io ero nervosa. Blu era tranquillo. Annusò però con una certa insistenza la trappola. Forse per via del parmigiano.
Il giorno dopo il topo c’era. Catturato! Scesi a vedere anch’io. Stavolta accompagnata da Mare. Era un topo piccolissimo. Quasi carino. Un po’ marroncino e un po’ grigio. Il pelo lucido. Gli occhietti accesi, tinti di spavento. Chissà che paura aveva! Non si muoveva. Solo ci guardava. Mare si mostrò del tutto indifferente, uscì e andò in giardino a mangiare un po’ di erba. Che strani i nostri cani! Ma torniamo al topolino. L’avevamo beccato. E a quel punto? Gabriele si infilò un paio di guanti da lavoro e portò trappola e contenuto nel bosco poco lontano. L’appoggiò a terra e l’aprì con una pinza. Il topolino schizzò fuori. Velocissimo. Una saetta. In pochi secondi scomparve tra le felci verdissime. Nemmeno il tempo di dirgli: «Non tornare da noi». Però non avevamo risolto tutti i nostri problemi. C’erano altri topolini in taverna? Farla ispezionare dai nostri quattro cani sarebbe stato tempo sprecato. Come cacciatori di topi si erano rivelati inaffidabili. Decidemmo di riposizionare la trappola e di attendere. Nel frattempo svuotammo la taverna di tutto ciò che conteneva. Pulimmo e disinfettammo ogni cosa. La trappola continuava a rimanere vuota. Be’, forse il “nostro” era un topolino capitato lì per caso. Col passare del tempo l’ipotesi diventò una certezza. Spero che non si ripeta più questa situazione, ma sono contenta che il topino abbia riavuto la libertà. Be’, questa è una storia semplice, con quattro cani dimentichi dei loro atavici istinti e un topo che si salva. Ma la cosa più importante è il rispetto per tutte le specie di animali. Anche un topolino prova paura e sofferenza. Dovremmo provare sempre compassione, intesa nel senso di partecipazione alla sofferenza dell’altro -qualsiasi altro-, nel senso di comprensione del suo sentire.










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