Il nostro prossimo è tutto ciò che vive (Gandhi)

lunedì 15 febbraio 2016

Tutta colpa di mia sorella!



Tutta colpa di mia sorella!
Storia di Antonella Tomaselli (da “Mi racconti la tua vita?”, di Antonella Tomaselli)


Estate. Fuori il sole aveva acceso il pomeriggio sopra concerti di instancabili cicale. In casa c’eravamo solo io e Giusi, mia sorella. E Blu e Mare, i miei cani. Due yorkshire terrier, innamorati da sempre l’uno dell’altra. Da parecchi giorni però vivevano separati. Mare, la femminuccia, relegata in una delle camere da letto, usciva giusto quando chiudevo Blu, il maschietto, in un’altra stanza.
Non dovevano incontrarsi. Lei l’aveva presa bene la faccenda. Sonnecchiava fino alla libera uscita, poi si scatenava in corse e giochi e baci a tutti i presenti, e quando era il momento riprendeva a pisolare.
Era lui ad averla presa male. Soffriva. Rifiutava il cibo. Piagnucolava. Dimagriva. Aveva in testa una cosa sola: la sua Mare! Be’, l’amore di sempre si era centuplicato perché la piccolina era in calore. Ma non volevo dei cuccioli. Ecco perché vigeva quel regime di semi-carcerazione e castità obbligata.
Mia sorella prese in braccio Blu e lo accarezzò per consolarlo. «Non sarà mica malato?» mi chiese. «E’ solo malato d’amore,» le risposi, «vuole Mare!». Aprii il frigorifero, presi un po’ di prosciutto cotto, e feci danzare sotto il naso del cagnolino, il bocconcino prelibato. Lui girò la testa dal lato opposto, in segno di rifiuto. Ormai cominciavo a preoccuparmi anch’io: non solo non voleva mangiare, addirittura rinunciava alle leccornie! E aveva un’aria così spenta e abbattuta.
«Proviamo a fargli fare una passeggiata? Magari si distrae» propose mia sorella. Non funzionò: ci seguiva svogliato, a testa bassa, e appena poteva si sedeva e si rifiutava di camminare. A quel punto era meglio che lo vedesse il veterinario, cercai il numero di telefono e chiamai. Purtroppo la segreteria telefonica annunciava che era in vacanza. Che fare? Blu aveva il mal d’amore, o altro?
«Be’, un modo per saperlo ci sarebbe» disse Giusi. La guardai interrogativa. Lei proseguì: «Basterebbe dar via libera ai due innamorati e vedere se Blu risorge da questa catalessi».
«E dopo? No, no! Non avrei il tempo da dedicare agli eventuali cuccioli» replicai.
Intanto il povero cane si era spalmato a terra completamente, anche di muso. Uno straccetto di cagnolino, triste e sconsolato. Muoveva le orecchie ogni tanto, e ogni tanto sospirava. «Blu, vieni qui a giocare» lo invitai. Mi ero seduta sul pavimento e lo aspettavo a braccia aperte. Lui si alzò faticosamente e venne verso di me piano piano. Addirittura, a un certo punto, mi sembrò che barcollasse. Quando arrivò si lasciò andare di peso sulle mie gambe. Alzò la testa giusto un attimo e mi guardò, sorridendo. Lui lo fa spesso: arriccia le labbra e sorride. Ma in quel momento il suo era un sorriso così malinconico...
Mia sorella calcò la mano: «Sembra moribondo!». Non ressi più, mi alzai di scatto dicendole: «Vado a “liberare” Mare».
Giusi prese in braccio Blu e uscì sotto il porticato. La raggiunsi con la piccolina che trotterellava contenta tra i miei piedi. Non ebbi il tempo di dire “Metti Blu per terra, così vediamo come si comporta”: rimase solo un pensiero della mia mente. Lui, rivelando un insospettabile vigore, si era già buttato. E in un nanosecondo aveva raggiunto Mare - che ancora si stava domandando cosa stesse succedendo - per mettere immediatamente in atto un accoppiamento da manuale.
Be’, è proprio così che andò. E ormai era fatta. Non si poteva tornare indietro. Mentre i due coronavano il loro sogno d’amore, io e Giusi ci scambiavamo pensieri del tipo “speriamo che il risultato non sia una nidiata di cuccioli”, “magari Mare non è nei giorni precisi dell’ovulazione”. Prima di tutto però concordammo che il “signor Blu”, visti l’energia e l’ardore, almeno fisicamente, stava un gran bene. A faccenda conclusa Blu e Mare presero a giocare. Però di punto in bianco lui, di corsa, entrò in casa. Io e Giusi lo seguimmo incuriosite. Lo trovammo seduto a piagnucolare… davanti al frigorifero. Presi il prosciutto e gli servii un pranzetto fuori orario che lui si sbafò alla velocità della luce.
Guarito!
Avevo ragione io: era solo malato d’amore.
Cominciò così… ma non finì lì.
Un mesetto dopo l’accaduto speravo ancora che Mare non fosse incinta, ma la sua pancia iniziò a lievitare in modo lampante. Dovevo rassegnarmi: nel futuro c’erano un parto e una cucciolata.
Arrivati al sessantaduesimo giorno di gestazione Mare era tranquilla, non c’erano segnali strani, però verso sera avevo percepito qualcosa che non riuscivo a inquadrare bene, ma che mi diceva di stare all’erta. Preparai ciò che occorre per un parto, compreso un buon libro: indispensabile, dato che la situazione poteva prolungarsi per diverse ore. Cominciai a leggere. Mare dormiva accanto a me. Verso l’una e trenta di notte iniziò a respirare affrettatamente. Prese poi a correre a destra e a sinistra, come se non trovasse un posto giusto per potersi fermare. Di tanto in tanto entrava nella sua cuccetta e la raspava, la grattava, la scavava con grande foga. Molto più tardi ebbe la prima contrazione. L’alba stava bussando quando le spinte si fecero più decise e più ravvicinate, e poco dopo un cucciolo si affacciò al mondo. Davanti ai miei occhi il miracolo della vita. Un’emozione che mi scioglieva il cuore.
La neo mamma si occupava con perizia della sua cucciolina nuova. Sì, era una femminuccia. Aveva una macchiolina bianca sul petto: la macchiolina portafortuna dei piccoli yorkshire. A quel punto chiamai mio marito e mio figlio. Mio figlio scattò subito una foto alla cucciola, mentre era fra le mie mani. Dopo un po’ nacque un’altra femminuccia. Anche lei con la macchietta bianca portafortuna sul cuore. Forti e avide, entrambe si impossessarono delle mammelle della madre. Eravamo lì tutti affascinati a guardare quel quadretto. Fu in quel momento che lo dissi: «Mi piacerebbe tenere una cucciola per me». Non avevo ancora finito di parlare che mio figlio aggiungeva: «L’altra la vorrei io». Mio marito protestò vivacemente: «Due cani in più?», ma intanto sorrideva sotto i baffi. Le cucciole crebbero in tutta la loro simpatia e bellezza. Manifestarono molto presto una grande differenza di carattere: il giorno e la notte! Una creaturina era allegra e curiosa come non mai, l’altra elegante, dolcissima e delicata nei modi. Una scugnizza e una principessa. Un diavoletto furbo e un serafico angiolino. Mio figlio scelse la prima nata, la peperina. E per il suo temperamento scatenato la chiamò Mostrilla. La mia la chiamai Mille E Una Luna, un nome che evocava mondi di favole. La birichina è l’ombra di mio figlio, Luna è la mia. E, come tutti i cani, tutte e due hanno un cuore enorme, smisuratamente più grande di loro. Ora “le cucciole” hanno quattro anni. Sono sempre adorabili. Con loro la nostra vita è diventata più bella. Sì, lo posso proprio dire: tutta colpa di Giusi! Però: mille grazie, sorella!

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