Il nostro prossimo è tutto ciò che vive (Gandhi)

martedì 17 gennaio 2017

Mai più come prima



“Mai più come prima”, di Antonella Tomaselli (storia vera di Cinzia Fresia, da “Confidenze tra amiche”, numero 3, 2017)


Desideravo tanto avere un animaletto che mi facesse compagnia. Lo voleva anche mio marito. Ma per noi non era possibile. Eravamo sempre in giro per il mondo e lanciatissimi in una vita tutta di corsa. Eh, mica si può prendere un cucciolo per poi costringerlo a una esistenza fatta solo di minutissimi ritagli della tua! Per questo avevamo rinunciato a quel sogno. Però poi qualcosa era cambiato: mio marito aveva accettato una proposta di lavoro che l’avrebbe trattenuto all’estero per diverso tempo, e per me, al contrario, si presentava la possibilità di svolgere il mio lavoro a casa. Dunque, in casa e - spesso - da sola. Be’, ormai me lo potevo permettere un animale da compagnia. Un cane? Un micio? Ero indecisa. Avevo sentito parlare anche di un altro animaletto che mi incuriosiva. In quegli anni - eravamo nel 2003 - era abbastanza di moda. Però non ne sapevo quasi niente, per questo cominciai a girellare in Internet per raccogliere informazioni. E più leggevo, più mi intrigava quella creaturina così particolare, che, tra l’altro, poteva star da sola anche per tutto il giorno. Quindi l’ideale per noi, se, metti il caso, fossimo ritornati al nostro vecchio stile di vita.
Per la maggior parte erano i siti americani a soddisfare il mio interesse. Effettivamente questo esserino, da loro, occupa il terzo posto nella graduatoria degli animali domestici più apprezzati. Volete provare a indovinare chi era ad attirare così tanto la mia attenzione? Dai, ve lo dico io: il furetto!
Scommetto che molte persone pensano che sia un animale selvatico tenuto in cattività. Un figlio di boschi e foreste imprigionato in una casa. Niente di più sbagliato! È stato selezionato dall’uomo. Un bel po’ di anni fa, visto che alcuni attribuiscono agli antichi egizi la sua “creazione”. Veniva utilizzato per le notevoli doti di cacciatore, ma nel tempo diventò un gradevolissimo animale da compagnia.
Finalmente incappai, sempre in Internet, in un sito italiano di un allevatore amatoriale di furetti. Presi subito contatto con lui e mi resi conto che abitava appena svoltato l’angolo del mio quartiere. I casi della vita! In pratica feci due passi e arrivai a casa sua. La moglie mi presentò tutti i loro furetti. E fu amore a prima vista. Mi conquistarono con quel musetto dolce, lo sguardo vivo, e l’aria da birboni evidenziata dalla mascherina di pelo scuro intorno agli occhi. Mi piaceva anche la forma del loro corpo. E il modo di muoversi. Li scoprivo adorabili. La signora mi aiutò a trovare due cuccioli. «Due sono meglio perché si faranno compagnia» mi disse. E così nella vita mia e di mio marito entrarono Dassault e Martine. Un maschietto e una femminuccia.
E tutto fu… mai più come prima! Dolci e teneri, i due cuccioli riempirono la casa di allegria e compagnia. Be’, qualche marachella la combinavano, ma sulla bilancia del “dare e avere” erano comunque sempre in grande vantaggio. La birbonata più grave? Una volta scavarono una tana nel rivestimento di una poltrona. Ma il musetto di Dassault che sbucava dalla galleria nuova nuova, aveva un’espressione talmente soddisfatta, che non riuscii ad arrabbiarmi. Erano poi buffissimi quando rubavano. Sì, perché i furetti adorano appropriarsi di oggetti piccoli. Curiosissimi rovistavano per esempio nella mia borsa - se era chiusa, l’aprivano - e prendevano ciò che a loro più piaceva. E se lo portavano in cuccia o sui loro cuscinoni. Tant’è che spesso, quando non trovavo una cosa, non perdevo tempo a cercare chissà dove, ma mi dirigevo sicura verso gli abituali nascondigli dei due ladruncoli. Dassault rubava anche pacchetti di fazzoletti di carta: era abilissimo a sfilarli dalle tasche. Un borseggiatore provetto. Del resto il loro nome scientifico “Mustela putorius furo” la dice lunga, perché furo - appunto! - significa ladro. Martine, quando era cucciola, amava infilarsi nelle mie maniche e ci restava tranquilla mentre io lavoravo. La mattina i due furetti venivano a svegliarmi arrampicandosi sul letto, lanciandosi tra i cuscini, ed elargendomi lievissimi morsichini di “buongiorno”. Vabbè, non erano spinti solo dall’affetto, era anche il loro modo di dirmi che avevano fame e che era ora che mi alzassi per preparare la colazione. Eh, eravamo tutti così felici! È proprio vero che un animaletto al tuo fianco rende i giorni più sereni. Però poi successe la tragedia. La piccola e affettuosa Martine si ammalò. E nonostante le nostre amorevoli e attente cure, morì. La salute dei furetti è piuttosto delicata, lo sapevo, ma ciò non poteva mitigare il dolore per la sua perdita. Io e mio marito eravamo affranti. Ma chi soffriva ancora di più era Dassault. Lui non si rassegnava. La cercava. Ma lei non c’era più. Precipitò in una seria depressione. Non dimenticherò mai gli sguardi colmi di infelicità che mi lanciava. Fu soprattutto per lui che prendemmo Tabata.
E tutto fu… mai più come prima! Tabata aveva un anno - non c’erano cuccioli disponibili in quel periodo - e proveniva da un allevamento che non la teneva in casa. Lei viveva in un recinto esterno. E non era abituata al contatto con l’uomo. Appena arrivata dispensò morsi furiosi a me, a mio marito e al povero Dassault. Qualche giorno dopo la portai dal veterinario per un controllo. Gli avevo telefonato: «Ti avverto: è una furetta particolare, sarà difficile visitarla». Mi aveva risposto ridendo: «Non c’è problema, sono pronto a tutto». Io ero comunque preoccupata. E, caspita, avevo proprio ragione! Nell’ambulatorio Tabata si produsse in salti acrobatici da lasciare senza fiato. Veloce come una saetta, fu a un pelo dal tranciare il cavo della macchina per le ecografie, rovesciò un numero consistente di flaconi e bottigliette di medicinali, e per finire piantò i sui denti affilati nella mano del veterinario che cercava di fermarla. Be’, per poterla visitare - ahimè - si dovette sedarla. Eravamo sconvolti, ma non avevamo il cuore di restituirla all’allevatore. Lei si comportava così perché era terrorizzata da una situazione che non conosceva: era piena di spavento. Le ci volle molto tempo per capire che non doveva aver paura e perché imparasse a non mordere. Un bel giorno, infine, la trovai accoccolata accanto a Dassault. Da quel momento divennero inseparabili. Ma non ci fermammo lì. Adesso di furetti ne abbiamo ben cinque, perché nel 2006 avviai un piccolo allevamento amatoriale (oggi sono presidente dell’associazione “Un furetto in famiglia” http://unfurettoinfamiglia.wordpress.com). Una allegra banda di adorabili monelli di cui non potrei più fare a meno.
Loro sono come degli eterni neonati. Per tutta la vita delicati e indifesi. Per questo ci tengo a precisare di nuovo che sono animali domestici, completamente dipendenti dall’uomo. Dunque, che a nessuno passi per la mente di donare la libertà al proprio furetto lasciandolo in un bosco: non gli farebbe un regalo, al contrario lo condannerebbe a morte certa!

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