Il nostro prossimo è tutto ciò che vive (Gandhi)

mercoledì 12 aprile 2017

Bianchi fiocchetti di lana






“Bianchi fiocchetti di lana”, di Antonella Tomaselli (storia vera di Antonella F., da “Confidenze tra amiche”, numero 12, 2016)


So ciò che direte dopo aver letto l’elenco dei componenti della mia famiglia. Esclamerete: «Mamma mia!».
Scommettiamo?
Allora, eccoci qui: io e Antonio, detto Tony, mio marito, e poi Francesco, Gianmarco, Claudio e Veronica, i nostri quattro figli. Inoltre c’è Lallo, il pappagallo. E Axel, Michelle e Calimera, i nostri tre cani. E, ancora, ci sono i nostri diciannove gatti. Sì, avete letto bene: diciannove! E i pesci del nostro acquario. Non vi sto a dire tutti i nomi perché sarebbero troppi.
E poi c’è Natalino.
Siamo in tanti, vero? Ho vinto la scommessa? Ma non vi ho ancora detto chi è Natalino. Be’, vi racconto dall’inizio, dalla mattina di Natale del 2010. Mi ero alzata presto, avevo aperto la porta di casa e fatto uscire Axel, Michelle e Calimera. Stavo armeggiando per preparare il caffè, quando mi resi conto che i tre cani abbaiavano troppo concitatamente. Erano furiosi. Mollai tutto e mi precipitai fuori per controllare. Latravano verso il canale che costeggia la casa. Mi avvicinai e intravidi un animaletto - forse un cane, forse un gatto - che si dibatteva nell’acqua. Stava affogando. Corsi lungo il ciglio finché potei allungare una mano e afferrarlo per il pelo. Non era un cane. E nemmeno un gatto. Era un agnellino. Piccolo piccolo. Fradicio e spaventato. Ero allibita. Me lo strinsi tra le braccia mentre ritornavo velocemente verso casa. Mi resi conto che nella fretta non avevo preso le chiavi e la porta si era richiusa automaticamente: ero rimasta fuori. Cominciai a pigiare con inutile frenesia il campanello. Niente. Ero lì, al freddo, in camicia da notte, con un agnellino bagnato e tremante tra le braccia e con tre cani che mi abbaiavano intorno eccitati. Finalmente mio marito, svegliato dal trambusto, si affacciò alla finestra. Dopo un attimo di legittimo stupore per l’inusuale quadretto che si trovava davanti agli occhi, si decise ad aprirci. Per prima cosa asciugammo ben bene l’agnellino. Era bellissimo con quei bianchi fiocchetti di lana che guarnivano il suo delizioso musino. Sembrava un giocattolo. Gli preparai un biberon con del latte. E andai a tagliargli un po’ di erbetta in giardino. Mio marito intanto aveva aperto il computer e cercava informazioni su tutto ciò che riguardava gli agnelli. Tante volte vicino a casa passano dei pastori con enormi greggi. Sicuramente Natalino - nel frattempo gli avevamo dato questo nome - si era perso. Notammo che aveva un problema alle zampe. Forse la madre l’aveva rifiutato per quella malformazione. Lo so, è terribile, ma in natura succede che i cuccioli malati vengano respinti. Mio marito è infermiere veterinario anestesista e, visto lo stato delle zampine, mi disse che l’agnellino era affetto dalla sindrome di Spider Lamb. «Purtroppo a causa di questa malattia non supererà i sei mesi d’età» mi spiegò. Dopo una pausa carica di tristezza, riprese: «Ma noi faremo di tutto per aiutarlo. E chissà…». Passavano i giorni e Natalino cresceva. Gli altri nostri animali l’avevano ben accettato. E noi lo adoravamo. Era meraviglioso quando mi seguiva per casa, riempendo le stanze con il suo belato tenero e piccino. Bene o male qualche corsetta riusciva a farla, e quando non ce la faceva più si inginocchiava e si muoveva così. Mica si fermava! E imparò tante cose, per esempio che il trillo del forno annunciava che le patatine erano pronte. Lui era lì ogni volta, in attesa dell’ormai dovuta porzione. Ne va tuttora pazzo. Però per lui il massimo è rappresentato dalla cioccolata. Se la gira in bocca e, mentre la assapora piano piano, chiude gli occhi voluttuoso. La succhia, fino a quando è tutta sciolta, e con goduria la deglutisce. Poi spalanca gli occhi e ne esige dell’altra. Si venderebbe sua madre - cioè io - per un pezzo di cioccolato! Io e mio marito studiammo tanto per farlo sopravvivere nel migliore dei modi e approntammo una cura che risultò abbastanza efficace per il suo problema alle zampe. Natalino certo non cammina bene nemmeno ora, ma almeno non è morto. Anzi, ha abbondantemente superato i cinque anni d’età!
Aveva circa due anni e mezzo quando decidemmo che doveva uscire di casa. Era diventato troppo ingombrante. E siccome aveva sviluppato pure un caratterino bello tosto, la stretta convivenza diventava difficile. Sì, era viziatello, brontolone e prepotente. Se non gli davo ciò che voleva prendeva a testate la cucina, i mobili del soggiorno e tutto ciò che gli capitava a tiro. Allora mio marito gli preparò una casetta in giardino, completa di ogni comodità necessaria a un agnellino. Be’, non si poteva più definire “agnellino”, ormai era un montone. Ma a noi faceva ancora tenerezza come quando era piccolino, fragile e delicato. Accanto alla casetta, c’è un ombrellone per schermare il sole estivo. E c’è una ciotola con l’acqua fresca sempre a disposizione. Sono convinta che Natalino - quando combina qualche guaio lo chiamiamo Natalaccio - si creda un po’ pecora, un poco gatto, un tantino ragazzino e un pizzico cane. Probabilmente, crescendo in mezzo a questa nostra allegra brigata, ha imparato un po’ dall’uno e un po’ dall’altro. Per esempio, se lo chiamo accorre scodinzolando come un cane, e come un cane è affettuoso e fa la guardia. Non abbaia, ma bela a più non posso al postino e a tutti quelli che passano davanti a casa. Ed era innamorato della nostra gattina Pippi. Micia straordinaria, lei era l’oggetto dei suoi desideri. Ma Pippi fuggiva lesta ogni volta che le sue attenzioni diventavano troppo… ehm… focose. Come un fulmine si arrampicava sull’albero più vicino e poi lo fissava dall’alto con malcelata perplessità. Sembrava si chiedesse: “Ma che vuole da me questo matto? Mica è un gatto!”.
Quando lei volò sul ponte dell’arcobaleno ne soffrimmo tutti tantissimo. Natalino di più. Non mangiava, non si muoveva. Piangeva. Sempre più cupo, sembrava la tristezza fatta montone. Poi si innamorò di Perla, un’altra gatta. E risorse allegro e monello come prima.
Ok, qualcuno mi può accusare di antropomorfismo, cioè di attribuire agli animali caratteristiche ed emozioni umane. E qualcuno può sostenere che una pecora trovi il suo massimo benessere vivendo da pecora in un gregge di pecore. Ma sono teorie proprio così sicure? Vi faccio un esempio, ma ve ne potrei fare mille. Tipico momento di relax nella bella stagione: mio marito legge un libro in giardino, Natalino gli è sdraiato accanto con il muso appoggiato sulle sue gambe. Tutti e due indossano un cappellino che li ripara dal sole. Un’arietta leggera muove piano le fronde degli alberi. Cosa c’è di più tranquillo e sereno di così? Mi tocca il cuore lo sguardo sorridente che mi rivolge Natalino…
È vero, lui cammina a modo suo, un po’ appoggiandosi al muretto del giardino, un po’ aiutandosi con i gomiti, ma nonostante ciò sono convinta che sia felice. È stato fortunato. E noi anche.


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