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giovedì 6 luglio 2017

Recensione "La luna è dei lupi"

"La luna è dei lupi" di Giuseppe Festa (Salani Editore, 3 marzo 2016)

Recensione di Simona Busto

Trama:
Ruscelli dipinti d’argento dalla luna, nastri di profumi colorati tesi sui prati, sagome di cervi come macchie di buio su una tela d’ombra. E un’oscura minaccia oltre il confine. Questo è il mondo di Rio, un lupo dei Monti Sibillini. A lui è affidata la sopravvivenza del suo branco piegato dalla fame e dalla scarsità di nuove nascite, costretto ad affrontare un lungo viaggio nei meandri di una natura da scoprire e difendere, nell’eterno conflitto con un nemico che ora ha le fattezze di un branco antagonista, ora quelle dell’uomo e dei suoi cani. L’entrata in scena di Greta e Lorenzo, due giovani ricercatori, darà il via a una catena di eventi imprevedibili.
Tra le meraviglie della natura selvaggia e le insidie del mondo degli uomini, l’emozionante viaggio di un branco alla ricerca della libertà. Una trama che si trasforma in un sorprendente gioco di specchi, dove ogni lettore ha la possibilità di osservare la natura degli animali e la società degli uomini dal punto di vista dei lupi. Una storia che diventa metafora della condizione umana, tra conflitti e amicizia, istinto e ragione, pregiudizi e accettazione del diverso. ‘Chissà se anche gli uomini pregano’ si chiede a un tratto Lama, una femmina del branco, contemplando la luna. Perché i lupi pregano.


«Quella notte, gli odori erano carte truccate mischiate da un vento prestigiatore.
Poi, la pioggia.
Rio si scrollò l’acqua di dosso e lanciò un’occhiata di lato. All’ombra della parete rocciosa, la figura di Falco si distingueva appena. Il giovane, ritto sulle quattro zampe, scrutava le pendici del Monte Sibilla».
Così si apre questo romanzo sorprendentemente ricco e intenso, e ti catapulta subito nel vivo della narrazione come nel panorama selvaggio e aspro dei Monti Sibillini, nell’Appennino umbro-marchigiano.
Rio e il branco di cui fa parte, guidato dal maschio alfa Grigio, vivono le loro giornate di caccia nella riserva naturale, “la zona franca” come la chiamano i lupi, che li protegge e li sfama.
Sarà l’incontro con l’uomo, insieme a un’inattesa penuria di cibo, a sconvolgere la loro esistenza:
«Rio e Lama si gettarono nella mischia, mentre Falco e Alba correvano tutto intorno per distrarre i cani e offrire una via di fuga al padre.
Due dei cani abbandonarono la loro posizione e Grigio si tuffò nel varco. Era libero.
“Via… via di qua” urlò, sbavando sangue.
Ma era troppo tardi.
Un boato».
Cacciati dal loro territorio, i lupi del Monte Sibilla, ora guidati da Rio, affronteranno un lungo viaggio alla ricerca di una nuova zona capace di offrire loro cibo e salvezza.
Nuovi incontri segneranno la loro ricerca, con altri lupi e altri esseri umani, che però non sempre si mostreranno ostili.
«Fu allora che successe.
Lama sollevò una zampa come per toccare il braccio della ragazza. E incontrò la sua mano.
Palmo nel palmo.
Occhi negli occhi.
Un pozzo castano e uno specchio d’ambra. Greta affondò nell’iride della lupa. Vide una notte ricamata di stelle e un’alba rosata, il sole dorato e una fitta nebbia d’argento. Infine, ritagliata in un cielo blu profondo, una brillante lama di luna».


Questo romanzo sa toccare corde profonde nell’anima di chi legge e ha una sensibilità tale da saperne carpire le emozioni intense.
Tutta la storia, o quasi, è vissuta dal punto di vista dei lupi. Gli animali e gli uomini stessi sono visti con gli occhi di questo predatore troppo spesso braccato. Ciò comporta ovviamente un eccesso di umanizzazione dei lupi stessi, elemento che tuttavia aggiunge pathos alla narrazione.
I comportamenti e lei reazioni di questi splendidi predatori, per quanto appunto umanizzati al punto da farli parlare tra loro, sono però credibili nel contesto della storia. Non per nulla l’autore, Giuseppe Festa, ha seguito a lungo i lupi dell’Appennino prima di scrivere la storia, accompagnato da ricercatori esperti.
E così ci sembra di vivere sulla nostra stessa pelle ogni dramma che si abbatte sui protagonisti a quattro zampe, ogni vicenda inattesa, ogni palpito dei loro cuori selvaggi. Perfino quando si nascondono in un parco giochi nel cuore della città, a pochi metri dai bambini e dalle loro madri umane, la simpatia del lettore resta per i lupi.
Un posto speciale nel mio cuore è occupato da Scuro, Otello per gli umani, in cui convivono due anime e due istinti contrastanti, che spesso lo porteranno a vivere ai margini. La sua lacerazione interiore e la sua voglia di rivalsa lo rendono istintivamente simpatico, al punto di farlo amare quanto e forse più di Rio.
La scrittura di Giuseppe Festa è impeccabile, direi quasi poetica. Sa descrivere gli ambienti con un’intensità perfetta, senza mai annoiare, anzi arricchendo la trama con pennellate narrative degne di un grande autore.
Il romanzo è lungo quasi duecento pagine, ma il ritmo sostenuto e avvincente della storia lo rende leggibile in pochissime ore.

Un libro sui lupi e per i lupi, capace di suscitare emozioni e di far versare anche qualche lacrima di commozione. Una lettura perfetta per chi decide di accostarsi a questi splendidi animali senza pregiudizi e d’immergersi a fondo nel loro mondo naturale così selvaggio e appassionante.

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