Il nostro prossimo è tutto ciò che vive (Gandhi)

lunedì 4 febbraio 2019

Negli occhi di una volpe




“Negli occhi di una volpe”, di Susanna Barbaglia (editoriale per Donna Moderna, 2011)

La mia casa in montagna sembra uscita dal disegno di un bambino. È uno chalet povero, isolato, alle soglie di un bosco di castagni in Val d’Aosta.Affaccia nel panorama magico di una delle valli più ampie della Regione e tra la collana di vette, spunta proprio in fondo il molare del Monte Bianco. Capita, in certe stagioni, di vivere due tramonti, quando il sole cala dietro la punta più alta e riappare qualche minuto dopo da quella di fianco, più bassa, come per dare l’ultimo saluto della giornata. D’inverno la casa affonda nella neve e il silenzio sembra ancora più sacro. Il bosco vicino, per mia grande gioia, è molto abitato: uccellini di ogni genere, da quelli piccolissimi di rovo alle cince, ai rapaci, lepri, scoiattoli, talpe, raramente ungulati e soprattutto volpi. Nella stagione del freddo, lascio sempre gli avanzi di cibo ai piedi degli alberi per nutrire tutta quella fauna in difficoltà. Ma quest’anno, arrivando per le vacanze, ho avuto l’orribile visione di gruppi e gruppi di cacciatori. Lasciano le auto al bordo della strada, armati come andassero in guerra, con anfibi e giubbotti catarifrangenti (per non spararsi l’uno con l’altro?), liberano i cani costretti da ore in gabbie anguste e poi s’infilano nei boschi. Mi sono informata e, quando ha saputo che in questo periodo si caccia la volpe, ho subito pensato a lei, la mia volpe. L’ho incontrata qualche anno fa sulla strada, proprio nel punto in cui in questi giorni stazionavano le auto dei cacciatori. Era affamata e denutrita, e grattava con le unghie insanguinate l’asfalto alla ricerca di chissà cosa da mangiare. Ero in macchina e ho rallentato per non spaventarla. Lei ha alzato il muso da terra e, mentre le passavo a fianco, mi ha guardato negli occhi e mi ha seguito. È indescrivibile cosa c’era in quello sguardo giallo scuro: lo specchio di qualcosa di selvaggio, di una fierezza antica, di un istinto atavico, l’essenza stessa della natura. Sempre agganciata a quegli occhi mi sono fermata, sono scesa dall’auto con del cibo dei miei cani e mi sono diretta camminando all’indietro nel bosco per farla allontanare dalla strada. Lei mi ha seguito da circa tre metri e non mi ha tolto gli occhi di dosso finché, dopo aver piazzato la carne in un incavo protetto fra due massi, sono ridiscesa alla macchina. Da quel giorno, per anni, ogni sera le ho portato da mangiare, sempre nello stesso punto. E quando vedevo sulla neve fresca le sue orme fino ai massi, ero travolta dall’emozione perché sapevo che mi stava aspettando e osservando da lontano.A volte la scorgevo seduta qualche metro più su, rinvigorita, il pelo gonfio e lucente e, per qualche attimo, tornavamo a guardarci negli occhi. Quando non è più riapparsa al nostro appuntamento, ho voluto pensare che si fosse addormentata nel suo bosco, e da allora custodisco il suo sguardo come un regalo della vita. Ora invece immagino gli occhi fieri della mia volpe perdere quel lampo di magia e invadersi di terrore davanti a un fucile. L’orrore della caccia è forse questo: l’incapacità di chi la pratica di guardare negli occhi la preda, l’incapacità di leggere in quello sguardo ciò che già il Buddha aveva detto: “Tutti gli esseri tremano di fronte alla violenza. Tutti temono la morte. Tutti amano la vita”.

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