Il nostro prossimo è tutto ciò che vive (Gandhi)

sabato 25 marzo 2017

Momenti magici




“Momenti magici”, di Antonella Tomaselli (storia vera di Morena Ribero, da “Confidenze tra amiche”, numero 45, 2016)


Voi ci credete nella magia? Io sì, ma non mi riferisco a stregonerie, sortilegi e fatture. Tutt’altro. Intendo la magia speciale di certi attimi. Quella racchiusa in un’emozione. Quella tanto misteriosa e impalpabile da poterla avvertire solo con il cuore. E se la riconosci, se la segui, se la vivi, allora tutto può succedere. Come è accaduto a me. E ora mi ritrovo - felice - a vivere in un insolito… branco!
Ma andiamo con ordine e cominciamo dall’inizio. Era una sera come un’altra e stavo leggendo un libro piuttosto interessante quando squillò il telefono. Risposi e fui travolta dalla voce concitata di una mia cara amica, che parlava con l’irruenza di un fiume in piena: «Morena, ho bisogno di te. Me lo devi davvero fare questo favore. Siamo nei guai. I falconieri di Milano non possono venire. L’evento organizzato a Torino, senza di loro, risulta con un buco grande quanto una casa. Puoi sostituirli tu? Ti prego, ti prego, ti prego». Be’, non sono una tappabuchi, ma non si nega una mano a chi ha bisogno, no? E così, all’ultimo tuffo, mi ero organizzata e avevo partecipato alla festa: ero là, con i miei rapaci. Sì, perché io, per l’appunto, sono un falconiere. A qualcuno potrebbe parere singolare, ma vi assicuro che non sono l’unica donna che abbraccia questa passione. Tanto per citarne una, la giudicessa Eleonora D’Arborea, già nel 1300, era un falconiere. Il Falco Eleonorae prende il nome proprio da lei. Ma ritorniamo alla festa: l’organizzatore era Andrea. Non lo conoscevo, lo incontrai all’evento per la prima volta e mi fu antipatico da subito. Non so il perché, comunque questa era la sensazione che provavo. Però non ci badai più di tanto. Preferivo di certo concentrarmi sul mio gufo reale indiano. Si chiama Satore-e Bad. Significa “Vento di stelle”. Giusto una lieve sottolineatura: non vi pare già un nome carico di magia?
Lo tenevo sul pugno, cioè appollaiato sul mio braccio teso, che avevo protetto con un guanto di cuoio. Lui si guardava intorno, poi puntò gli occhi su qualcosa o qualcuno un poco più lontano. E così rimase. Il mio gufo è un po’ la mia antenna e per me fu naturale seguire la traiettoria del suo sguardo. Satore-e-Bad fissava proprio quell’insopportabile di Andrea. Tranquillo e maestoso, seguiva i suoi gesti, che ormai osservavo anch’io. Andrea percepì forse i nostri sguardi perché si girò verso di noi. Sorrise. E si avvicinò. «E’ bellissimo il tuo gufo» mi disse, e io colsi un’ammirazione sincera nelle sue parole. «Posso provare a tenerlo sul pugno?» mi chiese. Gli passai un guanto, lui lo indossò, e Satore-e Bad vi si appollaiò. Sereno. L’atteggiamento del rapace aveva un chiaro significato, un messaggio per me facile da decodificare: la completa fiducia. E ne fui meravigliata. «Mi piacerebbe tenere il tuo gufo senza guanto» disse ancora Andrea. Altra sorpresa: si usa sempre per evitare graffi e ferite provocati, anche involontariamente, dagli artigli. La piena fede era reciproca, viaggiava in entrambe le direzioni, dal gufo ad Andrea, da Andrea al gufo. Ma ormai c’ero in mezzo anch’io. Guidata da Satore-e Bad, Andrea cominciò ad apparirmi sotto un’altra luce. Quella vera. Ben diversa dalla prima impressione che avevo avuto. Non era mica antipatico. Anzi, mi piaceva. Fu un momento di grande magia. Bello così. Non mi aspettavo niente di più. Ma il giorno seguente io e Andrea ci rivedemmo. E quarantotto ore dopo lui mi telefonò: «Sono a San Gemini, in Umbria, puoi venire?».
«Be’, non è proprio dietro l’angolo, ma se hai bisogno, ti raggiungo» gli risposi. Credevo di doverlo riaccompagnare, per qualche motivo, in Piemonte, la regione dove risiedevamo, invece quando arrivai mi portò davanti a una casa. «Ti piace? Cosa ne pensi?» mi chiese. Era bella, ma ancora io non avevo capito. Andrea allora sussurrò: «Morena, tu ci credi alla magia?». Oh, sì che ci credevo. In quel momento ne eravamo avvolti. Lo guardai senza parlare, un po’ stupita e già completamente incantata.
Lui proseguì: «Ti fidi di me?». Non potevo che rispondergli col mio “sì” più bello. «Ok. Allora è il momento giusto perché inizi a credere in “noi”» continuò lui sorridendo. Cominciammo a vivere insieme praticamente da subito. Ecco, in una manciata di giorni, la mia vita era completamente trasformata. Ed eravamo felici. Non sembra una storia rubata a un libro di favole?
Andrea però non era solo, e nemmeno io.
Unimmo i nostri “elementi” al seguito e fu così che mi ritrovai nel bel mezzo del nostro insolito branco, dove io e lui siamo gli unici umani. Poi ci sono i cani: Naftalina, Doom, Cheyenne e Soyala.  E i rapaci: Satore-e Bad, che già conoscete; Almasack, un falco o poiana di Harris; Morfeo, un barbagianni; Anouk, un falco ibrido tra Girifalco e Lanario. E c’è Gatto Cigolo, che è proprio un gatto e che miagola ogni volta come se stesse cigolando. E, infine, ci sono Ubaldo e Guendalina, due placide tartarughe terrestri.
Di pari passo cominciò, tra me e Andrea, anche una collaborazione professionale. Io, come ho già detto, mi occupo di rapaci, riservando una parte del mio tempo a quella che definisco “Emotional therapy”. Andrea ha studiato per molti anni le dinamiche comportamentali e i ruoli dei lupi nel branco. Ha una storia come educatore cinofilo della polizia di stato, e ha lavorato anche in America e collaborato con le Nazioni Unite. Quello che mi ha conquistata di lui è che ha il mio stesso modo di vedere il mondo. E di guardare gli animali. Io li adoro da quando ero una bimba. Vi racconto un ricordo piccino, ma piuttosto illuminante. Possedevo diciassette gerbilli. Li avete presenti? Sono forse più conosciuti come “topolini del deserto”. All’inizio io avevo solo un maschietto e un mio compagno di scuola, una femminuccia. E poi erano arrivati i cuccioli. Io e il mio amichetto volevamo realizzare un documentario sulle loro abitudini e così eravamo sempre lì a far riprese con la telecamera. Soprattutto sul letto di mia nonna, che, poveretta, detesta i topi. Mia mamma, da sempre, aveva il compito di arginare il numero dei miei animali: la casa era piena, e non solo di topolini del deserto, ma anche di gatti, cani, uccellini. Un giorno mi disse: «Sono arrivate le giostre per i bambini, qui a Torino. Prova a chiedere ai gestori se vogliono un gerbillo. Così almeno la nostra tribù diminuisce di uno». Ci andai con la tristezza nel cuore. Mi avvicinai al titolare del Luna Park e, mentre sfioravo con un dito il pancino del mio gerbillo, gli chiesi se lo voleva. «No, non posso proprio prenderlo» mi rispose. Mi guardò un momento, poi aggiunse: «Ma visto che sei venuta fin qui, ti regalo un pesce rosso». Ero felicissima. Mia mamma un po’ meno. Ecco, con me funzionava sempre così: puntualmente arrivavo a casa con un animaletto nuovo. E so già che anche il branco, mio e di Andrea, aumenterà nel tempo. Anche se quotidianamente corro il rischio di perdere qualcuno dei miei rapaci. Perché li devo lasciar volare almeno due volte al giorno. Voli liberi. E ogni volta è un’emozione che afferra l’anima. Li vedo librarsi nell’aria e sento come se nel cielo ci fossero le mie di penne. Quando poi li richiamo, loro ritornano. Ma potrebbero anche non farlo. La forma d’amore più alta è proprio lasciar loro questa libertà di scelta.
Volare.
E poi tornare.
Se vogliono.
E se è un’emozione il loro volo, ancora di più lo è il loro ritorno.
Una sera Morfeo, il mio barbagianni, si allontanò più del solito. Andrea si allarmò e mi gridò: «Non perdiamolo di vista nemmeno per un attimo». Ero agitata anch’io, ma cercai di mantenere la calma. Lo seguivo con gli occhi mentre sfrecciava nel cielo: a ogni battito d’ali diventava sempre più piccolo.
«Adesso Morfeo è nel panico ed è come se scappasse da tutto. I rapaci si comportano così quando sono spaventati da qualcosa o da qualcuno» dissi ad Andrea.  Purtroppo, poco dopo, il barbagianni sparì dalla nostra vista. Si era diretto in un luogo apparentemente senza grossi pericoli. Ma avevo comunque il cuore che tremava, quando aggiunsi: «Se Morfeo sceglierà di tornare da noi, avrà tutti i modi per farlo. Se preferirà andare, sarà giusto così. Lo ringrazio per il tempo che mi ha dato, per le esperienze e le emozioni condivise. Non voglio tenerlo accanto a me a tutti i costi. Non sarebbe giusto… Adesso andiamo a dormire». Restammo invece ancora un poco, in silenzio, a scrutare quel cielo che diventava piano piano più buio, mentre, timide, si accendevano le prime stelle. «Domani ci alzeremo prima che sorga il sole e proveremo a richiamarlo» dissi ancora, cercando la mano di Andrea. Rientrammo a casa, ma il giorno dopo, prima delle cinque, eravamo di nuovo sul posto. Richiamai Morfeo. E lui arrivò. Lo chiamai con i baci. Funziona così con i barbagianni. Io li definisco i “peace and love” dei rapaci: amano lo schiocco dei baci e hanno la faccia a cuore. Cosa meglio di ciò può evocare “pace e amore”?
Vedere Morfeo che volava verso di noi, fu un attimo di grande felicità. In comunione. Altra magia.
Io e Andrea viviamo di emozioni e di passioni. E ogni giorno facciamo solo ciò che ci accende, e così diventa facile tuffarsi con gioia nelle nostre attività. Non potremmo fare altrimenti. Il nostro lavoro si basa sull’intervento del nostro branco. Noi siamo grandi osservatori delle dinamiche animali e riusciamo a interpretare con esattezza tutti i messaggi che loro ci inviano. Una serie di informazioni che possono essere fondamentali per indirizzare ogni persona verso il posto giusto nell’ambito del lavoro, tanto per fare un esempio, per scoprirne i talenti e per guidarla a una piena realizzazione. Un aiuto a trovare il ruolo più adatto. Noi interveniamo nelle famiglie, con i bambini, presso le aziende. Per ricomporre l’armonia.
C’è una frase di Proust che io adoro e che calza a pennello su di me e su Andrea: “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”. Ecco, nuovi occhi noi li abbiamo davvero: guardiamo il mondo attraverso quelli del nostro insolito branco. Ed è magia. In noi. E dappertutto.







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