"Torno con Peppino", di Antonella Tomaselli (storia vera di Edvige Migliardi e Aldo Caccavale, da "Confidenze tra amiche", numero 22, 2014)
Era dolce la mia piccola Cleo, scodinzolava felice a ogni mio respiro. Conosceva i miei orari e le mie abitudini, condivideva la mia tristezza e la mia allegria, riempiva la mia casa. Quando mi lasciò, piansi tanto.
Tramite facebook m'imbattei nel "Rifugio di Charly", un piccolo paradiso per i cani abbandonati. Mandai loro tutto ciò che era appartenuto a Cleo: cuccette, cuscini, giocattoli, medicine. A lei non servivano più. Io e Aldo, mio marito, spesso pensavamo di adottare un altro cane, ma dopo lunghe riflessioni io gli dissi: "Non siamo più così giovani e i nostri problemi di salute non aiutano certamente. Prendere un cane è anche un atto di responsabilità. Siamo certi di potergli assicurare un bel futuro? Manca tanto anche a me un pelosetto che mi cammini tra i piedi. Ma non dobbiamo perdere di vista la nostra realtà".
E la tristezza calava su entrambi.
Ci sentimmo più sereni quando cominciammo a lavorare nel Rifugio di Charly come volontari. Ricordo con emozione il primo impatto: io e Aldo davanti a quel cancello che si apriva, e tutti quei quattro zampe festosi che scodinzolavano e abbaiavano per noi.
Adottammo a distanza un piccolo pitbull e quando al rifugio ci proposero di tenere in stallo un cane, in attesa di trovargli una famiglia che lo accogliesse, non ci sembrò vero. Portammo a casa Minou, una batuffolina deliziosa. Ma la piccolina era solo "in prestito". Poi arrivò Calzino, un altro amore di cane. Trovata una famiglia anche per lui, toccò a Occhietto, cinque chili di cane randagio. Lui era terrorizzato dalle persone. Stava scappando impaurito anche quando fu investito da un'auto, che non si fermò dopo averlo travolto. Occhietto ne uscì malconcio, ma vivo; il cristallino di un occhio ne risultò completamente rovinato e per questo gli fu dato quel nome. Quando lo portammo a casa rimase immobile in un angolo, le orecchie tirate indietro, lo sguardo basso. Non volle mangiare. Aldo propose di portarlo a fare una passeggiata, forse si sarebbe rincuorato un pochino. Cercai con fatica di mettergli un guinzaglio, certamente non era avvezzo ad avere qualcosa intorno al collo. Fu in quel preciso istante che io e Aldo ci accorgemmo che il suo minuscolo collo portava ancora i segni di una catena. Lo accarezzammo a lungo. Piano, cominciò a prendere fiducia. Certo non era un bel vedere: il musetto era senza pelo e pieno di segni di morsi. Il profilo delle orecchie era irregolare, come colpito dalla rogna o rosicchiato dai topi. La coda era nelle condizioni delle orecchie. Dell'occhio vi ho già raccontato. E ci avevano detto che forse aveva la leishmaniosi.
Sì, era proprio uno straccetto di cane. Ma lo curammo con attenzione e amore e in breve tempo il suo aspetto cambiò. L'esito degli esami scongiurò la leishmaniosi, e il piccolo riacquistò pian piano una forma che forse non aveva nemmeno mai avuto. Scoprimmo che era un campione nel gioco con il pallone e che era un coccolone esagerato. Conquistati da lui cominciammo a innamorarcene. O, meglio, io me ne innamorai, per Aldo era stato amore a prima vista, ricambiato al volo dal piccolino.
Pensammo di cambiargli il nome, ci sembrava che Occhietto richiamasse alla mente tutte le brutture di cui il piccolo era stato vittima. Dissi a mio marito: "Lo chiamiamo Peppino? Fa tanto scugnizzo napoletano". E in una manciata di minuti Occhietto, cane intelligente, capì di essere diventato Peppino.
Un giorno arrivò la bella notizia: Barbara, una ragazza piemontese, voleva adottarlo. Ma perché io e Aldo ci sentivamo così tristi? Conobbi Barbara per telefono e ne ebbi un'ottima impressione. Lei viveva in una casa con un grande giardino dove Peppino nelle belle giornate, avrebbe scorazzato a piacimento. Mi colpirono la sua dolcezza, la disponibilità, la sensibilità: Peppino non poteva capitare meglio. Decisi che le avrei portato il cagnolino personalmente, e prenotai il viaggio da Napoli a Milano. Ci saremmo incontrate là. La sera prima della partenza, in casa nostra, l'angoscia si poteva tagliare con un coltello. Anche Peppino era triste e di tanto in tanto uggiolava. Il mattino dopo ci alzammo presto, io e Aldo sembravamo in attesa di qualcosa che potesse mutare il destino. Ma alle otto e quaranta io e Peppino salimmo sul Freccia Rossa. Salutai mio marito dal finestrino e negli occhi mi rimase quella sua immagine: era così avvilito. Erano giusto passati venti minuti quando mi raggiunse una sua telefonata. Mi disse a bruciapelo: "Scendi a Roma e torna a casa con Peppino". Avrei voluto gridargli di sì, ma, chiamando a raccolta tutto il buonsenso di cui ero capace, gli risposi: "Non è possibile, Barbara ci aspetta". Poi, più pronta ad ascoltare il cuore, aggiunsi: "Però, se arrivata a destinazione Peppino piangerà, tornerò indietro con lui. Promesso". Mentre il treno continuava veloce la sua corsa, scrissi un sms a Barbara: "Non so se quando arriverò a Milano ce la farò a lasciarti il cagnolino".
Raggiungemmo la destinazione troppo rapidamente.
Vidi subito Barbara, la riconobbi perché in facebook ci eravamo scambiate le foto. Piccolina, con i capelli biondi e lisci trattenuti in una coda. Gli occhi dolcissimi e sorridenti. Ebbi il tempo di pensare che Peppino con lei sarebbe stato felice. Eravamo entrambe molto emozionate. Le dissi: "Ecco questo è Peppino" e glielo misi tra le braccia. Lo abbracciò con delicatezza e il cagnolino rispose affettuosamente, lambendole il viso e scodinzolando.
Cosa si può volere di più? Allora perché non riuscivo a trattenere le lacrime? Ma era ormai arrivato il momento, adesso dovevo lasciarli e fare dietro front verso casa. Indietreggiai di alcuni passi. Peppino allungò il muso verso di me e cominciò a piangere. Corsi da lui per consolarlo. Più volte si ripeté la stessa scena: cosa potevo fare? L'avevo anche promesso a Aldo che se piangeva l'avrei riportato a casa! Guardai Barbara negli occhi, senza parlare, ma tutto di me in quel momento chiedeva una cosa sola. Lei capì, e con la voce rotta dalla commozione, mi disse: "Tienilo tu. E' il tuo". Lo presi e me lo strinsi un poco al cuore, mentre la ringraziavo. Le sarò grata per sempre, è stata meravigliosa.
Mentre Peppino, rilassato, si strusciava un po' contro la mia spalla, ci salutammo. Non smettevamo di abbracciarci. Risalii sul treno insieme al mio cane. Chiamai Aldo e ridendo gli dissi: "Viaggio a vuoto. Torno con Peppino". Entrambi scoppiavamo di felicità.
Il treno e i miei pensieri correvano: chi può sapere cosa ci riserva il futuro? Sarà quel che sarà. Peppino condividerà il nostro e noi il suo. Per il momento viviamo il presente, e prendiamo a piene mani tutto ciò che di meraviglioso ci dà.
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